Il “Menhir” non esiste più. “Jean-Marie Le Pen, circondato dalla sua famiglia, è stato richiamato a Dio questo martedì alle 12.00“, ha indicato la sua famiglia in un comunicato inviato alAfp.
Se ne va senza aver mai espresso alcun rammarico per i suoi errori, controllati o meno, spesso ripetuti, che gli sono valsi diverse condanne legali: camere a gas”dettaglio della storia“, ha “disuguaglianza razziale» (1996), attraverso l’occupazione tedesca «non particolarmente disumano» (2005) o l’aggressione fisica di un oppositore socialista (1997).
Eterno provocatore e pioniere dell’estrema destra europea, Le Pen voleva davvero il potere? “Non mi è mai stato portato su un piatto», si è vittimizzato lui stesso.
Di più “in fondo non voleva governare», lo ritiene soprattutto il giornalista Serge Moati che ha seguito per 25 anni “il diavolo della Repubblica” attraverso documentari e libri.
«Essere considerato un reprobo, un escluso, un antisistema, in effetti gli faceva comodo e paradossalmente gli regalava una popolarità che poco a poco si è tradotta nei sondaggi.», decifra il regista.
Qualificato per il secondo turno delle elezioni presidenziali
Il più emblematico dei suoi successi rimarrà incompiuto. Il 21 aprile 2002, all’età di 73 anni e alla sua quarta candidatura all’Eliseo, fece una sorpresa qualificandosi al secondo turno elettorale.
Il trionfo ha il suo rovescio della medaglia: per due settimane milioni di persone marciano contro il razzismo e la sua incarnazione politica. Soprattutto, Jean-Marie Le Pen permette la facile rielezione del suo nemico giurato Jacques Chirac.
Resta il fatto che, in sessant’anni di carriera e cinque elezioni presidenziali, Le Pen ha risvegliato un’estrema destra francese fino ad allora squalificata dalla Collaborazione.
La sua giovinezza dalla bocca forte
Nato il 20 giugno 1928 a La Trinité-sur-Mer (Morbihan), il bretone divenne protetto della Nazione all’età di 14 anni quando suo padre, pescatore, morì in mare gettandosi su una mina.
A Parigi, lo studente di giurisprudenza chiacchierone e rissoso preferisce l’attivismo agli studi. Mantiene amicizie varie, dal deputato radicale italiano Marco Pannella al cineasta della New Wave Claude Chabrol, impegnato a sinistra, e che vedrà in tribuna un “fottutamente magnifico».
Le Pen si recò poi in Indocina, dove strinse amicizia con una futura leggenda del cinema, Alain Delon. Tornato a Parigi, nel 1956, all’età di 27 anni, divenne il più giovane membro dell’Assemblea nazionale nelle liste poujadiste, in una Quarta Repubblica in declino. Poi riparte, questa volta per l’Algeria, dove verrà accusato di tortura, cosa che lui contesta.
Inizi in politica
Anticomunista viscerale, Le Pen guidò la campagna presidenziale dell’avvocato di estrema destra Jean-Louis Tixier-Vignancour nel 1965, poi fu nominato nel 1972 alla guida di un nuovo partito che riuniva i neofascisti: il Fronte Nazionale.
Le Pen, burattino di Ordine Nuovo, questo piccolo gruppo che cercava una “facciata” rispettabile nella persona di questo ex parlamentare? Forse.
Ma il tribuno, con il volto bendato dopo aver perso un occhio in un incidente domestico, si dimostra uno stratega e finisce per imporsi come il leader de jure e de facto di questa macchina elettorale. E scelse lo stesso stemma del MSI, il partito italiano rimasto fedele a Mussolini: una fiamma tricolore.
“Mi assumo la responsabilità di tutto”
Primi successi alle elezioni comunali del 1983, e un tema preferito ripetuto più e più volte: “Un milione di disoccupati è un milione di immigrati di troppo”.
L’anno successivo ha sfiorato l’11% alle elezioni europee – aiutato, deplora la destra, dal presidente socialista François Mitterrand che gli ha spalancato le porte degli studi televisivi durante la campagna elettorale.
Gli slogan si susseguono: “Prima i francesi”, poi “Le Pen, il popolo”, lui che è diventato milionario dopo aver ereditato nel 1976, in particolare, una villa privata nel prolungamento dei bellissimi quartieri parigini.
Ma accanto agli splendori – il 15% nelle presidenziali del 1988 e del 1995 –, chi gestisce il FN come “una bottega di famiglia” e la sua famiglia come un’impresa politica, deve sopportare le miserie delle divisioni.
Alla fine degli anni ’80, il suo orgoglio venne minato quando sua moglie e la madre delle sue tre figlie lo abbandonarono improvvisamente prima di posare nudo sulla rivista Playboy: lo scherzo antilepenista francese.
Dieci anni dopo, mentre l’erede legittimo Bruno Mégret cercava invano di prendere posizione, Le Pen smentiva in diretta nella trasmissione delle 20 di TF1 la figlia promessa all’eredità politica, Marie-Caroline. Colpa sua? Dopo aver seguito il marito megretista.
Alla fine è la più giovane dei fratelli, Marine, a essere scelta per prendere il testimone.
Divenuto presidente del FN nel 2011, Le Pen vuole essere leale: “Prendo tutta la storia del mio partito e mi assumo la responsabilità di tutto».
«Frastuono continuo»
Dal suo ufficio al maniero di Montretout o, sempre più spesso, dalla casa della sua nuova moglie, Jany, a Rueil-Malmaison, a ovest di Parigi, Jean-Marie Le Pen si è intrattenuto negli ultimi anni con una vendetta. Tra due canzoni canticchiate, ha suggerito di votare per Eric Zemmour alle elezioni presidenziali del 2022.
Un infarto un anno dopo lo costrinse a rinunciare alla vita sociale. Dal febbraio 2024, le sue tre figlie Marie-Caroline, Yann e Marine sono state designate a gestire i suoi affari quotidiani, nel quadro di una tutela giuridica vicina alla tutela.
Per il suo funerale, Jean-Marie Le Pen ha chiesto “Concerto in re maggiore di Beethoven per violino e orchestra“. Al momento della sua prima rappresentazione, due secoli fa, i critici lo giudicarono privo di “coerenza”, “un insieme disordinato e sconnesso di idee” e “un frastuono continuo”.
Par Le360 (con AFP)
07/01/2025 alle 12:08