Al processo Ruggia, il grido di rabbia di Adèle Haenel: Novità

Al processo Ruggia, il grido di rabbia di Adèle Haenel: Novità
Al processo Ruggia, il grido di rabbia di Adèle Haenel: Novità
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L'urlo gelò l'aula. “Stai zitto!”, ha gridato martedì Adèle Haenel al regista Christophe Ruggia, contro il quale sono stati comminati cinque anni di carcere, di cui due chiusi, per aver violentato l'attrice quando aveva tra i 12 ei 14 anni.

La difesa ha chiesto l'assoluzione e la corte si pronuncerà il 3 febbraio.

L'attrice che aveva faticosamente contenuto la sua rabbia fin dall'inizio del processo, accontentandosi di fissare Christophe Ruggia con uno sguardo nero che lui evitava, ha finalmente lasciato che esplodesse all'inizio del pomeriggio.

Il grido venne da lontano e congelò per un attimo l'aula solitamente più educata. “Ma stai zitta!”, l'attrice 35enne è balzata in piedi, furiosa, colpendo con il palmo delle mani il tavolo davanti a lei.

Il regista aveva appena spiegato di aver cercato di proteggerla dalle conseguenze del suo film “I diavoli” del 2001, in cui aveva recitato in scene di sesso all'età di 12 anni, poco prima dell'inizio degli attacchi denunciati.

“Le ho suggerito di prendere un nome falso…” dice, prima di essere interrotto dal grido di Adèle Haenel. Che poi esce dalla sala, in eco al suo addio alla cerimonia dei César del 2020 dopo la nomina di Roman Polanski, che l'aveva consacrata a simbolo delle femministe.

Il giorno prima, Christophe Ruggia l'aveva accusata di “pure bugie”, parlando di un “#Metoo francese” che gli sarebbe “caduto” addosso, e assicurando che l'attrice aveva voluto “vendicarsi” perché non aveva interpretato ancora dopo “Les Diables”.

Una “difesa assurda”, spazza via il pubblico ministero Camille Ploch, che ha chiesto che la pena detentiva richiesta fosse messa direttamente sotto un braccialetto elettronico, il che significa che non andrebbe in prigione.

“Ha scelto di molestare sessualmente. Aveva tutta la coscienza di uomo, da adulto, di agire diversamente”, sostiene il pubblico ministero sull'imputato, 59 anni, all'epoca tra i 36 ei 39 anni.

– “Colpevole, colpevole, colpevole” –

“Questa udienza deve richiamare il divieto, chi era l'adulto, chi era il bambino, deve rimettere a posto il mondo”, insiste il magistrato, che “non ha dubbi” sulla realtà degli attentati, descritti in maniera “costante” di Adèle Haenel, “dal 2006” in privato.

“Mi ha rimproverato per l'amore che aveva per me”, ha detto l'attrice. “Quanto deve essere pesante da portare a 12 anni…” commenta il pubblico ministero.

I legali dell'attrice hanno chiesto 30.000 euro di risarcimento del danno morale e 31.000 per il costo del follow-up psicologico.

Nella sala gremita, il pubblico ministero evoca le molteplici testimonianze del “disagio” degli adulti, gli scritti degli “amanti rifiutati” di Christophe Ruggia. E questa “incapacità” del regista “di dettagliare cosa è successo per ore tra un uomo adulto e questo preadolescente, di 24 anni più giovane di lui”.

“120 sabati” tra il 2001 e il 2004, “le mani sotto la maglietta, nei pantaloni di una ragazzina”, ha contato Yann Le Bras, uno degli avvocati di Adèle Haenel. Ma secondo Ruggia, aggiunge l'altro suo avvocato Anouck Michelin, “è il bambino che ha tutti i torti, che è troppo sensuale, troppo impertinente, troppo pericoloso”.

“Adèle, non l’hai scoperta, l’hai rubata”, dice al regista, di cui ricorderà solo “un atteggiamento” al processo: “il tuo sguardo vuoto e assente”.

Le accuse di Adèle Haenel – in Mediapart nel 2019 – “non erano spontanee”, accusa Me Orly Rezlan in difesa, ma quella di “informatrice di un Metoo nel cinema francese”.

Agli occhi di tutti, Christophe Ruggia è già “colpevole, colpevole, colpevole”, tuona il suo secondo avvocato, Fanny Colin, che teme che il tribunale sarà costretto “a fare giustizia con una pistola puntata alla tempia”.

Adèle Haenel e il suo sguardo furioso non riescono più a restare fermi.

Dato che il regista è un “grande bugiardo e gli viene chiesto di chiudere la bocca”, Me Colin vuole parlare solo del “dossier”.

Per mettere in discussione “le convinzioni consolidate”, la “finzione” che “permea la realtà”, dice, e soprattutto “la memoria” che “riemerge” ma che non è “sufficiente per entrare in condanna” .

Fine del processo. Adèle Haenel esce dall'aula senza dire una parola, ringraziando con un gesto le donne accorse ad applaudirla.

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