Pochi, pochissimi, forse solo quelli che ricordano che un gelido olandese buttò fuori Carlos Alcaraz dagli US Open quest'estate, avranno sentito parlare del Botic van de Zandschulp. Ma lui, uno in più del plotone, un altro di quegli anonimi che esulano dal focus specialistico del circuito, potrebbe aver significato il punto finale per Rafael Nadal, che va al centro del campo e saluta dopo aver perso il primo punto in palio tra Spagna e Paesi Bassi. Mr. acqua fredda a Carpena: doppio 6-4, in 1h 53m. Tra la sorpresa generale, il maiorchino, con il motore grippato, ha preso parte alla prima partita individuale, ma in realtà, non molto tempo fa, il capitano David Ferrer aveva già avvertito: “Se Rafa starà bene, ci proverò lui.” Il gioco non va bene e il corso va storto. Forse è un addio. Ora tocca a Carlos Alcaraz in una situazione estrema: o il Murcian batte il Tallon Griekspoor nel seguito, oppure per il paese ospitante la serie sarà finita.
Non servono tributi perché Nadal si esalti. La competizione non è iniziata, suona l'inno spagnolo e il volto del tennista già disegna la sensazione, alzando lo sguardo e gli occhi vitrei, probabilmente riavvolgendo: c'è Brno, esattamente a 7.592 giorni, 20 anni, nove mesi e 13 giorni fa. Il giovane di allora è oggi un uomo vicino ai 40 anni che trattiene le lacrime e deve inevitabilmente dire addio al suo sport perché il suo corpo non lo sostiene più, mille e una cicatrici sul suo corpo. Lo ha già detto: “Se potessi, continuerei a giocare”. E l'amico Feliciano ha sottolineato: “Tutti i piani di Rafa negli ultimi tempi sono stati troncati”. Il fatto è che Madre Natura non fa distinzioni né comprende lignaggi, nemmeno nello sport. Il tempo del mito sta per scadere e Carpena si assapora ogni pallone. È evidente che la concorrenza è passata in secondo piano. Qui lo staff è venuto a salutare Nadal.
Il padiglione esplode quando lui appare attraverso il tunnel e il tabellone video riflette quell'emozione a malapena contenuta, finché arriva il momento della verità e la forza dell'abitudine e quella mente senza pari rimette tutto al suo posto; cioè quel Nadal in trance, concentrato, ordinato, senza perdere un briciolo di routine; una corsa verso il fondo campo e poi, tutti quegli infiniti tic che lo hanno accompagnato durante i suoi 23 anni di viaggio. Arringa subito la persona perbene, non appena lancia una mano destra che Van de Zandschulp (29 anni e 80esimo al mondo) non riesce a sentire. Non sembra, però, che l'olandese sarà un tipo destinato a raggrinzirsi; addii a bordo campo, lui, giocatore navigato, fa i fatti suoi e come ha fatto durante l'estate a New York, dove ha eliminato Carlos Alcaraz, non batte ciglio né si rimpicciolisce né si lascia impressionare dall'atmosfera. Rilascia semplicemente il braccio. È supportato da un paio di secoli di carote sugli spalti.
E Roberto Bautista osserva di lato, elegantemente di lato. Il castellano è stato provvidenziale nell'accesso firmato a settembre a questa fase finale, ma sa di cosa si tratta e resta in panchina e incoraggia il collega senza fermarsi, sapendo che ogni sostegno è poco per questo Nadal in uscita che lotta con l'orgoglio e il fervore di sempre, con il Tennis che resta, ma logicamente stretto sulle gambe e corto sul filo. Salva i primi quattro turni di servizio e trasmette un'espressione ottimista, ma l'avversario, sempre offensivo, lo inciampa al quinto; soffre di spostamento laterale, il suo guidare Lascia tre palline corte e davanti c'è un gambo che sputa sferzate senza esitazione. Poi arriva la svolta. Lui rottura gelato “Whew!”, fischia uno spettatore, per vedere se è per questo che fa prendere l'olandese al servizio e si scioglie, regalandogli così i dubbi, la vertigine che storicamente la partita ha emanato. Natale. Ma niente di niente. Dall'altro lato c'è una roccia.
Quello destro non carbura
“Forza Rafa, forza, forza…” prova a rianimarlo la signora, nello stesso momento in cui Van de Zandschulp si riafferma: la sua è un'altra festa. Si chiude con enfasi e appena inizia il secondo set incide un altro break, e il gesto di Nadal vacilla, consapevole che il suo ritmo oggi è lontano da quello del rivale; Ha giocato 19 partite quest'anno, più un paio di esibizioni, per le 36 giocate dal freddo Botic, che somma e somma sul tabellone, aprendo un varco e sottolineando il messaggio: sono venuto qui per quello che sono venuto. E se le palle devono essere passate, vengono passate. Lo spagnolo non gareggiava individualmente dal 29 luglio, quando perse contro Novak Djokovic ai Giochi di Parigi, e non partecipava a un evento di Coppa Davis dal 24 novembre 2019, per la finale di quell'ultima Salad Bowl nel Magic Box. Da allora è piovuto molto e oggi Málaga si rassegna ad un episodio crepuscolare.
Nadal con uno scatto salva con coraggio il 3-0 e realizza il gol sega con il braccio sinistro, ma poi inciampa di nuovo. Cerca di sparare ad angoli più lunghi e aperti con quella vecchia frusta, ma non riesce a finire di accordarla. Non è a suo agio in nessun momento della partita. Non riesco a trovare il punto. In fin dei conti, ecco perché se ne va. Le distanze, gli automatismi, la reazione; Non è facile recuperare la memoria. “Prima questi non fallivano, è un errore, frettoloso…”, spiega in tribuna alta Antonio, un altro di quelli che hanno messo mano alle tasche per vedere dal vivo l'addio della leggenda. Il maiorchino arriva più lontano che può. “Si può!”, esclama il pubblico, mentre l'olandese, ormai, arriva al break e tutto sembra definitivamente perduto, lui e Nadal sul 4-1 fanno la gomma e soffrono un mondo e lottano come possono quando riescono sono già alle corde, con le spalle al muro, sofferenti. Gli sembra brutto, ovviamente. “E questa è finita…”, insiste Antonio.
Succede che sia migliore o peggiore e che carburi più o meno, sicuramente nessun tennista ha avuto la fede travolgente o lo spirito indistruttibile di Nadal, che combatte con quello che indossa e si aggrappa al set con un paio di colpi quando cala la notte è già caduto addosso alla città e già aleggia nell'aria il desiderio che l'Alcaraz possa rifarsi nella prossima partita. Resta però una scintilla. Risponde allo schiaffo e riduce il vantaggio dell'avversario, che deve anche sopportare la tempesta: 4-3 e 0-30. Si sente “questo fa schifo…”. “Stai attento…” dice Antonio, il parrocchiano che crede ancora. Falsa illusione. Van de Zandschulp resiste con la sua armatura, carica e spara. Nadal ha tutto il campo per sé, ma mira male con il dritto – 11.300 paia di mani alla testa all'unisono – e poi fa un rovescio lungo e impreca. “NO, Raffaello!”: probabilmente non c’è modo di aggirarlo. E non c'è. Il vincitore rema finché non ottiene il primo punto, con decisione, e le Baleari lanciano un bacio: forse, l'ultimo ballo del gigante.