SPareggio (0-0) deludente per i Blues, Stade de France sostanzialmente vuoto, atmosfera plumbea: più che la partita in sé allo scarso interesse sportivo tra la nazionale francese e la selezione israeliana, giovedì 14 novembre, a Saint-Denis, nel quadro della Società delle Nazioni dobbiamo rallegrarci che ciò abbia avuto luogo.
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Una settimana dopo gli scontri di Amsterdam tra simpatizzanti filo-palestinesi e sostenitori israeliani del Maccabi Tel-Aviv, segnati da sconcertanti scontri razzisti e scene insopportabili di cacce all’uomo antisemite, la Francia ha dimostrato, a prezzo di un eccezionale dispiegamento di polizia, che avrebbe non cede alle pressioni che tendono a importare in Francia il conflitto mediorientale e non tollera che una competizione sportiva organizzata sul suo territorio degeneri in una battaglia campale.
La presenza congiunta sugli spalti del Presidente della Repubblica, dei suoi due predecessori e del Primo Ministro ha inviato un messaggio chiaro in questo senso. Così come, ciascuno a suo modo, l'assenza di Jean-Luc Mélenchon, che pone il confronto israelo-palestinese al centro della sua strategia di conquista delle popolazioni di origine immigrata e aveva chiesto l'annullamento della partita ; e quella di Marine Le Pen, pronta a sfruttare il conflitto mediorientale per alimentare la retorica antiaraba dell'estrema destra e il cui portavoce del partito, Julien Odoul, avrebbe preferito che la partita fosse spostata in Corsica.
Lenire
Mentre, dall’attacco terroristico di Hamas in Israele il 7 ottobre 2023, il numero di atti antisemiti in Francia ha raggiunto un livello mai visto dal 1945 – gli ebrei, che rappresentano l’1% della popolazione, sono presi di mira dal 57% dei militanti razzisti. e attacchi antireligiosi – mentre il bombardamento di Gaza da parte dell’esercito israeliano costato la vita di decine di migliaia di civili non può che suscitare forti emozioni e tensioni, tutti i discorsi e gli atteggiamenti che tendono a identificare gli ebrei di Francia o gli israeliani a le politiche di Benjamin Netanyahu, o quella degli arabi di Francia verso i terroristi, sono altrettante dosi di acido versate su ferite aperte. Oggi più che mai nessuna forma di antisemitismo, matrice di ogni razzismo, può essere tollerata.
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Se lo sfruttamento del conflitto israelo-palestinese da parte dei funzionari francesi alimenta l’insicurezza vissuta quotidianamente dagli ebrei francesi, è impossibile nascondere gli effetti devastanti, ben oltre il Medio Oriente, della guerra condotta da Netanyahu a Gaza il cui scopo va oltre la comprensione. Ad alimentare le maggiori preoccupazioni sono le informazioni che provengono da un territorio devastato da più di un anno di bombardamenti mortali e devastanti, e al quale lo Stato ebraico ha vietato l’accesso alla stampa internazionale per più di un anno. Come testimonia la denuncia dell'organizzazione pacifista israeliana B'Tselem e dell'autorevole quotidiano Haaretz di a “pulizia etnica” in corso nel nord di Gaza. Anche la formazione, negli Stati Uniti, di una futura amministrazione repubblicana scandalosamente filo-israeliana difficilmente riuscirà a ridurre le tensioni.
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In questo clima deleterio, occorre fare tutto il possibile per limitare gli effetti delle metastasi che si sviluppano, soprattutto in paesi come la Francia dove convivono significative minoranze ebraiche e arabe. Più che di strumentalizzazioni politiche, i veleni del razzismo e dell’antisemitismo necessitano urgentemente di un contro-discorso chiaro e unificante da parte delle massime autorità dello Stato capace di calmare la competizione del dolore e delle paure.