Mo Harawe, regista somalo-austriaco, parla con Il villaggio vicino al paradiso un’opera prima di rara densità emotiva ed estetica. Attraverso inquadrature fisse, spogliate di ogni artificio pittoresco, il cineasta rende la costa somala un personaggio a sé stante: paesaggi spazzati dal vento, tinti di colori sbiaditi, impregnano ogni scena di una malinconia viscerale.
Il film è incentrato sulla vita di Mamargade, un uomo incatenato alle contingenze della sopravvivenza, tra lavoretti estenuanti e compromessi morali. Insieme alla sorella Araweelo, arrivata dopo il divorzio, e al figlio Cigaal, la loro vita quotidiana oscilla tra resilienza e disincanto. “ Volevo conoscere meglio me stesso realizzando un film sulla Somalia, il paese in cui sono nato e cresciuto », confida il regista.
Ogni gesto, ogni silenzio porta con sé una verità organica, frutto di un processo creativo istintivo. Per Harawe il cinema non si limita a raccontare: “ Vorrei che lo spettatore lasciasse la stanza con il cuore pieno di amore e di immagini negli occhi. “. In questo “paradiso decaduto” dove le istituzioni sembrano spettrali, la macchina fotografica di Harawe cattura l’umanità, i suoi difetti e la sua luce.
Quando la vita si ferma…e ricomincia
Con Uno di quei giorni in cui Hemme muoreil regista turco Murat Firatoglu dipinge un intimo affresco sulla durezza di vite dimenticate. Il film segue Eyüp, un uomo distrutto dal peso dei debiti, costretto a lavorare sotto un sole implacabile nei campi di pomodori della Turchia sudorientale.
Firatoglu dipinge un ritratto senza compromessi dell’alienazione moderna. Ogni goccia di sudore, ogni sguardo smarrito del suo protagonista riflette stanchezza e disperazione. Quando Eyüp si scontra con il suo datore di lavoro, questo shock diventa il catalizzatore di un vagabondare nella città, dove il peso della disperazione si mescola all’urgenza di una soluzione radicale.
Il film, della durata di 82 minuti, esplora l’intimità di un uomo alle prese con i propri limiti, in una Turchia dove la luce travolgente del paesaggio rafforza la sensazione di isolamento. Firatoglu, con un’economia del dialogo, lascia spazio a una poesia visiva dove ogni fotogramma, ogni silenzio, diventa un grido soffocato.
Queste due opere, sebbene distinte, condividono uno sguardo diretto sulla complessità della vita ordinaria, dove la speranza lotta costantemente contro le avversità. Se Harawe ci invita a contemplare la fragilità e la bellezza dei legami umani in un ambiente battuto dai venti della storia, Firatoglu si immerge nell’alienazione di una società contemporanea dove gli esseri umani a volte sembrano scomparire sotto il peso delle sue lotte. Due film, due visioni, ma la stessa verità: quella di un mondo dove amore e dolore convivono nella vita quotidiana di ognuno.