Dall’alterità all’integrazione, il cortometraggio “Dans la place” mette in discussione il razzismo a Carouge

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Pubblicato il 28 giugno 2024 alle 10:12. / Modificato il 28 giugno 2024 alle 11:21.

Carouge, Place du Marché. Primi sprazzi di primavera e aperitivi in ​​terrazza. È in questo quadro imperturbabilmente idilliaco che Homayun, Kismath, Doran, Nayan e Mohammad chiamano i passanti, con la macchina fotografica in mano. “Cosa significa per te il razzismo?” Le risposte si susseguono e non sono uguali. A volte crediamo che sia “la paura dell’altro, quello che rifiutiamo per principio”, a volte è un problema che immaginavamo “abolito”. E quando viene sollevata la questione degli effetti positivi dell’immigrazione nella città di Carouge, gli abitanti di Carouge faticano a rispondere. La scena assume poi un tono ironico, in una città soprannominata la città sarda, e le cui fondamenta furono costruite con l’aiuto di maestranze transalpine.

Mettere in dialogo l’esilio e la patria. Mettere in discussione “il dono della nascita”, l’integrazione alla luce delle migrazioni e dei suoi difficili viaggi. Questo è l’approccio al centro del cortometraggio Nel posto. Trasmesso giovedì sera al centro del quartiere Carouge di Ginevra, il documentario, frutto di una collaborazione tra tre giovani della città e due minori afghani non accompagnati, guidati dalla regista Rachel M’Bon, una troupe cinematografica, e formati dalla regista Juliana Fanjul –, mette in discussione il razzismo e il modo in cui guardiamo gli altri. Nel loro primo film Sono nero, le due donne hanno offerto uno spazio senza precedenti per parlare con diverse donne di colore provenienti dai quattro angoli della Svizzera. Con Nel postoincrociano nuovamente il loro sguardo.

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