Ginevra: condanne al carcere contro gli Hinduja

Ginevra: condanne al carcere contro gli Hinduja
Ginevra: condanne al carcere contro gli Hinduja
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Sempre combattivo, a volte emotivo, il primo pubblico ministero Yves Bertossa ha pronunciato lunedì mattina il suo atto d’accusa. Ha chiesto al Tribunale penale di Ginevra di ritenere colpevoli di tutte le accuse, compreso il traffico di esseri umani, gli imputati, quattro membri della famiglia Hinduja e il loro direttore finanziario. “Voi siete criminali di professione”, ha detto al trio seduto sul banco degli imputati.

Nei confronti del padre, Prakash Hinduja, 78 anni, e della madre, Kamal, 75, entrambi assenti, il pubblico ministero ha chiesto 5 anni e mezzo di reclusione e una multa di 180 giorni (3mila franchi al giorno) con sospensione della pena. Secondo Yves Bertossa, il figlio (56 anni) e la nuora (50 anni) dovrebbero essere condannati a 4 anni e mezzo di reclusione. Infine, vengono chiesti contro il direttore finanziario (64 anni), accusato di essere stato loro complice 3 anni di cui 18 mesi chiusi.

Dopo il ritiro dei tre denuncianti grazie ad un accordo dell’ultimo minuto giovedì, la Procura della Repubblica è ora sola a portare avanti l’accusa contro i cinque imputati. Sola ma determinata a dimostrare la colpevolezza di questa famiglia multimiliardaria, accusata di aver impiegato personale domestico nella loro villa di Cologny (GE), per più di dieci anni (da fine 2006 a primavera 2018).

Riferendosi al budget Hinduja per l’anno 2014, ha menzionato gli 8.584 franchi sotto la voce “pets”, cioè animali domestici. “In questa famiglia spendiamo più ogni anno per il cane che per i collaboratori domestici”. Il tono è impostato. A corredo delle foto, il pubblico ministero ha descritto la stanza del personale domestico: “il letto a castello in ferro battuto, il materasso che deve essere di 10 cm, un comodino, senza finestra, un piccolo ventilatore. Questa sistemazione è degna di un signore dei bassifondi!”

Ai suoi occhi non ci sono dubbi sull’abuso della vulnerabilità in questo caso. “In India vivono in povertà. Li abbiamo portati dentro ed erano felici. Abbiamo approfittato della miseria del mondo”. Ha sottolineato: “Questo è il processo contro una famiglia multimiliardaria che ha reclutato personale in India per pagarlo con le fionde”. Il pubblico ministero ha così ricordato che per anni questi dipendenti hanno lavorato nella villa, senza permesso di lavoro, a 1 franco l’ora, dalle 15 alle 16 ore al giorno, sette giorni alla settimana, senza permesso.

Per quanto riguarda i passaporti del personale, anche in questo caso Yves Bertossa non usa mezzi termini: “Li troviamo in un armadio chiuso a chiave che appartiene a Kamal. Possiamo dire che sono sequestrati!” Per il pubblico ministero è chiaro che gli indùja “disprezzano le nostre leggi, la giustizia e la dignità umana”.

Per quanto riguarda l’accordo concluso giovedì, la Procura ha anche chiarito: “Non vedo alcun pentimento!” Ha osservato che nel documento si parla di indennità di fine rapporto “ma non una parola sulle retribuzioni non pagate durante tutti gli anni di lavoro”. Ritenendo che “l’arricchimento continua”, Yves Bertossa ha preteso il pagamento di un debito compensativo di 3,5 milioni a favore dello Stato. Aggiunto 1 milione di spese procedurali. Facendo capire il punto, il primo pubblico ministero ha concluso riguardo agli Hinduja: “Avevano tutto per rispettarli e trattavano queste persone in modo disgustoso. È disgustoso ed è un’ingiustizia”.

Tanto da lasciare un po’ basita la difesa. Al punto che Me Yaël Hayat, avvocato del figlio di Hinduja, ha esordito la sua difesa evocando “una un atto d’accusa che sembra sbalorditivo”. Gli avvocati proseguiranno per tutto il pomeriggio e poi domani. La sentenza sarà pronunciata venerdì alle 16.00.

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