Il post letterario di KS. Ep 2. “Mater Africa” di Kenza Barrada, ovvero le radici africane

Il post letterario di KS. Ep 2. “Mater Africa” di Kenza Barrada, ovvero le radici africane
Il post letterario di KS. Ep 2. “Mater Africa” di Kenza Barrada, ovvero le radici africane
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“Mater Africa” è il primo romanzo di Kenza Barrada. È una storia densa e densa di 420 pagine (25 capitoli), per chi ama i grandi viaggi della vita. L’autore ci trasporta in una memoria dimenticata, vicina e lontana da noi: le radici africane della marocchinità. La trama si intreccia sottilmente tra il XIX secolo e i nostri giorni, passando per l’indipendenza del Marocco, con effetti di prolessi e analessi che livellano la lettura senza disturbarla. Ci lasciamo trasportare dallo stile orizzontale dell’autore, una composizione lineare realistica che scorre come un fiume africano.

“Mater Africa” racconta i veri destini biografici di quattro donne stravaganti. Una madre, le sue due figlie e la sua nipote ribelle. La scrittura riesce a reinventare questi spaccati di vita in personaggi romantici. C’è la madre, Mariame, senegalese, trentenne all’inizio della trama, la sua fine sarà tragica. È sposata con un marocchino, un commerciante Fassi della Fez di un tempo, Haj Omar, un ricco proprietario che ha avuto successo negli affari in Senegal e ha già un piede nell’aldilà della Mecca. Ha avuto diversi figli da lui, in particolare due figlie, Habiba e Amina, eroine del romanzo che il narratore seguirà per tutta la loro esistenza. Tutto accade tra due mondi che riverberano o, meglio, si retrodiffondono. Haj Omar, ogni sera, come un leader tribale”sedeva in trono sulla sua poltrona al centro della capanna, i bambini seduti ai suoi piedi» (pag.20). Lui èun minareto, dritto come quello del villaggio» (pag.22). Ama sua moglie, ma a modo suo. Mariame, lei,incarnava la bellezza del Sine Saloum» (pag.19). Le baie di Sine Saloum, classificate tra le più belle del mondo, hanno curve femminili di verde giada o turchese, che diventano blu indaco nelle stagioni delle piogge. Il marito decide di lasciare lui e le sue figlie per sempre, in Marocco. Vuole vederli crescere nella gloria dei suoi antenati moreschi. Ha intenzione di convincere Mariame a lasciarla in Senegal. Sta preparando una seconda vita, senza la prima moglie. È la storia di una rottura della filiazione e di una tragedia. Mariame verrà sacrificata e farà una fine patetica.

Amina e Habiba cresceranno in Marocco. Habiba mantiene un legame indelebile e viscerale con l’Africa. È tornata a vivere in Senegal, sua terra natale, vuole andarsene, non riesce a rassegnarsi, non sa dove posizionare il cursore della sua esistenza, mentre i suoi fratelli e la sorella Amina non ci mettono più piede da 50 anni anni. Habiba, sposata con Idriss, pio tifoso musulmano di calcio, è una donna angosciata, che simboleggia la ricerca di se stessa. Vive nei suoi ricordi, rimpiange sua madre che vede spesso nei sogni e che finì per essere portata via dal fiume Sine Saloum, raggiunta dal suo sosia animista: “Mi ha detto cose strane… Mi ha chiesto di riunire mia sorella e i miei fratelli (…) che bisognava fare la pace con il Senegal, che era importante per le generazioni future che discendono dal nostro albero sacro» (p.39). Come in un’antica leggenda paesana, a volte sentiamo, attraverso le pagine, il suono dei tam-tam e dei canti dei griot. Uno dei punti di forza di questo romanzo è mescolare culture e personaggi nella famiglia di Haj Omar. Habiba alla fine farà la sua scelta. Sceglierà uno dei due paesi.

In questa galleria di ritratti riusciti c’è Amina, la secondogenita di Mariame. È bella, concentrata sul sesso e sugli uomini che non esitano a sollecitarla, nonostante il suo matrimonio borghese con Moha. Vive a Casablanca, in un’elegante villa situata sull’Impasse des Papillons, guida una Mini e si veste secondo le ultime tendenze. Frequenta la discoteca Paradise e si prende cura dei suoi amanti durante il giorno, perfezionando il suo trucco e il suo fisico birichino. A lei piace “fai scorrere la punta dell’unghia lungo il contorno delle labbra, rimuovendo l’eventuale lucido in eccesso» (pag.45). Questa è la trappola del desiderio. A modo suo, Amina è traumatizzata dalla storia familiare. Si distrugge nel piacere. Il suo matrimonio è un fallimento. Solo sua figlia Zahrat sembra una promessa, un dono del cielo.

Zahrat, un giovane ammutinato che rappresenta il giusto mix della famiglia di Haj Omar: “Si trucca meticolosamente il viso, una decina di prodotti creati appositamente per la pelle nera e grassa, per gli occhi castani con ciglia lunghe, per le labbra carnose color ciliegia.» (pag.57). Nipote di Mariame, di cui ha solo vaghi ricordi familiari, è distaccata da tutto. Ma tutto il romanzo tende a questo. Non conosce l’Africa, e vive in un Marocco che vuole moderno, laico, occidentalizzato. Zahrat pratica yoga, le piace ascoltare “La matinale de Momo”, esce durante il giorno con le sue cuffie. Rimescola le carte della femminilità e trova il suo posto nel mondo. Ama Parigi dove rimarrà a lungo, vivrà storie d’amore, conosce persone giovani, trendy e globalizzate. Zahrat, cercando l’amore, riscopre la sua africanità.

Alla fine, quattro universi femminili sono in agguato e ognuno di essi contiene una parte della risposta. Un rebus la cui chiave di lettura viene consegnata tardi, attraverso il personaggio di Zahrat. L’avventurosa nipote si riconcilia pacificamente con le sue origini africane. Lei simboleggia la nuova generazione. È un punto di partenza. Queste quattro storie principali, da madre a figlia, si scontrano in un panorama genetico epico. Ognuna delle eroine avrà un destino inaspettato che il lettore non sospetta a prima vista. E quando il lettore finalmente chiude il libro, una domanda gli brucia le labbra: si può essere marocchini senza essere africani?

“Mater Africa”. 420 pagine. Éditions Le Fennec, 2024. Prezzo al pubblico: 140 DH.

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