Hamza Makraoui
Il ministro dell’Inclusione economica, delle piccole imprese, dell’occupazione e delle competenze, Younes Sekkouri, ha annunciato ieri che il disegno di legge organico n. 97-15 relativo al diritto di sciopero sarà soggetto ad ulteriori emendamenti. Una promessa che calmerà un po’ gli entusiasmi dei sindacati, ma cosa dobbiamo pensare di questo modo di pilotare la legislazione di un diritto costituzionale?
Avviato dalla Costituzione del 2011, il disegno di legge organico che disciplina le modalità di esercizio del diritto di sciopero era ormai da tempo in arrivo. Un impulso si è avuto quando il testo portato avanti da Younes Sekkouri è stato adottato, il 24 dicembre, in seduta plenaria e, naturalmente, a maggioranza dei voti dei deputati. Il prossimo passo è la Camera dei Consulenti.
Non sorprende che l’adozione del testo abbia suscitato rapidamente la protesta dei sindacati, i quali ritengono di non essere stati abbastanza ascoltati, che il testo non rispettasse il diritto costituzionale e ne chiedono quindi la revisione.
D’altro canto, alcuni osservatori o altre parti interessate accolgono con favore l’adozione del testo e non mancano di considerare questo passo come un “ importante svolta » dopo anni di attesa, è certamente così, ma non riescono a considerare una cosa, per un soggetto di questa ordinanza: è vitale avere un consenso, non si tratta solo di riempire un vuoto giuridico.
« Il governo mostra grande flessibilità accettando le proposte delle parti sociali » ha dichiarato Younes Sekkouri il 13 settembre nel corso di una conferenza stampa, a margine degli incontri consultivi del governo con le centrali sindacali più rappresentative.
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Questa dichiarazione verrebbe vista come uno scollamento tra la politica e la vita sociale, o addirittura lo spirito stesso della Costituzione.
Tuttavia, il governo non si dimostra semplicemente benevolo consultando le parti sociali e tenendo conto delle loro proposte. Adempie al suo obbligo, rispettando un diritto sancito dalla Costituzione.
Le convinzioni politiche ed economiche di alcuni non devono prevalere su nessuno dei diritti garantiti dalla suprema norma giuridica del Paese. Dovremmo tenere presente che i partiti verranno, che i partiti se ne andranno e che questo testo rimarrà.
Un testo atteso da 60 anni, tanto vale non mancare all’appuntamento con la Storia vantandoci di aver tenuto 65 incontri in 20 mesi con le parti sociali e riposarci sugli allori.
Il Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE), al quale il testo è stato sottoposto per parere, aveva espresso preoccupazione su diversi punti, in particolare sull’esclusione di numerose categorie di lavoratori come gli autonomi o altri attori economici che potrebbero essere colpiti dai conflitti sociali.
Per un Ministero dell’Inclusione, il minimo che potrebbe fare sarebbe consultare il maggior numero possibile di segmenti della popolazione attiva e non solo i sindacati. Dovremmo ricordare che ci sono milioni di marocchini che partecipano alla vita politica e che non hanno alcuna appartenenza sindacale, per disinteresse, per scelta o perché non si sentono rappresentati da organizzazioni che non hanno ancora un quadro legislativo chiaro.
Ciò senza ritornare su tutti i punti che dimostrano la “ approccio restrittivo » di un testo che mira a limitare il diritto di sciopero anziché garantirne l’esercizio in condizioni eque, come sottolinea il CESE.
In un paese governato dallo Stato di diritto come il nostro, sembra che questo tipo di legge, che deve garantire la libertà, la dignità e la sicurezza della nostra forza lavoro, debba essere presa più sul serio ed essere oggetto di un’ampia consultazione. nazionale.