Sulla ripida strada verso la Coppa del Mondo “United” del 2026 organizzata congiuntamente da Stati Uniti, Canada e Messico, non è proprio un sorteggio infernale, ma è comunque quello che la Svizzera potrebbe temere. Perché la metterà di fronte a una riunione che i nazionali svizzeri avrebbero preferito rinviare. La colpa è di questo mascalzone del destino che si sforza di giocare con destini contrastati.
Innanzitutto, per il numero 2, c’è ovviamente questa Svezia che ancora non riesce per noi – ricordiamo gli ottavi di finale persi 0-1 a San Pietroburgo il 3 luglio 2018. Senza essere uno spaventapasseri, il boia della Svizzera in Russia ha tutte le carte in regola per permettersi ancora una volta la formazione di Murat Yakin, ormai orfano di Giorgio Contini. Con Alexander Isak (Newcastle) e Viktor Gyökeres (Sporting), la Svezia ha due attaccanti di livello mondiale.
Non essere peggio non basterà
Dato che le partite di qualificazione, conseguenza dell’appartenenza al gruppo a 4, non inizieranno prima del prossimo autunno, la Svizzera ha nove mesi per dare vita a qualcosa di diverso dalla famigerata poltiglia servita durante la recente e deludente Società delle Nazioni, una Gara che si è conclusa con la retrocessione in Lega B. Sappiamo che non può andare peggio, ma ci vorrà un vero miglioramento per dominare la selezione di Stoccolma. L’incantevole viaggio della Svizzera verso l’euro tedesco è stato un miglioramento di breve durata.
Ma per la Nazionale c’è soprattutto la prospettiva di tornare in Kosovo per un nuovo “derby” di scala continentale contro quello che molti considerano il 27esimo cantone svizzero. Ciò dimostra i forti legami esistenti, talvolta in un contesto di divisioni, tra Berna e Pristina. Sappiamo che la Svizzera calcistica non avrebbe mai potuto vivere la stessa traiettoria e quindi lo stesso successo se non avesse potuto contare sul contributo determinante dei suoi talenti di origine balcanica.
All’epoca in cui il Kosovo era solo una provincia della Serbia di lingua albanese, migliaia dei suoi abitanti, tra cui i genitori di Shaqiri, Behrami e Xhaka, erano fuggiti dai combattimenti per trovare rifugio in Svizzera. Se Xherdan e Valon non ci sono più per vari motivi, Granit si prepara a iniziare una nuova battaglia alla quale parteciperà senza dubbio Andi Zeqiri, anche lui a lungo diviso tra due paesi.
Una trappola da evitare
Da entrambe le parti possiamo contare sugli antagonismi esistenti – e spesso anche sui media – per risvegliare queste domande identitarie che potrebbero parassitare una realtà già sufficientemente complessa. Questa è una trappola che deve essere evitata. Spesso nauseanti, questi eterni dibattiti sull’appartenenza non hanno più motivo di esistere.
Gli svizzeri hanno già subito le conseguenze del contesto extrasportivo durante le partite “esplosive” contro la Serbia, quando Granit Xhaka era un bersaglio designato. La controversia sull’aquila bicipite durante la Coppa del Mondo 2018 deve essere storia.
Per evitare di ripensarci, la Svizzera dovrà liberarsi da un passato ingombrante. Non è normale che le sue prime tre partite contro i calciatori del Pristina siano finite con così tanti pareggi. Sulla strada per Euro 2024, la selezione di Murat Yakin si è svolta ogni volta (2-2 in trasferta, 1-1 a Zurigo).
Invece di rivisitare la sua storia comune e le relazioni talvolta ambigue che intrattiene con il Kosovo, la Svizzera farebbe meglio a scriverne una propria. Sia contro la Svezia che contro i rappresentanti del 27° cantone svizzero è giunto il momento di voltare pagina.
Al di là degli uomini, è il loro atteggiamento che giudicheremo.