Ruba Ghazal e le camicie brune

Ruba Ghazal e le camicie brune
Ruba Ghazal e le camicie brune
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Pochi giorni fa, la deputata Mercier, la solidale Ruba Ghazal, ha annunciato la sua intenzione di bloccare l’estrema destra di Jordan Bardella e il Raggruppamento Nazionale durante le elezioni legislative in Francia. Davanti alla stazione della metropolitana Mont-Royal, ha distribuito volantini del Nuovo Fronte Popolare, incoraggiando così i francesi che vivono nel territorio a votare per l’alleanza di sinistra. Le critiche da parte della classe dirigente del Quebec non tardarono ad arrivare.

Sulla piattaforma X, il ministro Christopher Skeete ha definito la sua posizione “interferenza straniera”. Con il suo eterno senso delle sfumature, Éric Duhaime ha denunciato l’“Internazionale comunista” (leggi: l’Internazionale comunista). A questo concerto di voci conservatrici si è aggiunta quella di Roland Lescure, ministro di Emmanuel Macron e deputato francese in Nord America: “Non riesco a immaginare di interferire nelle elezioni del Quebec o del Canada. » Ha poi invitato a nome del Centro a “respingere gli estremi”. Usato spesso dallo stesso presidente della Repubblica francese, questo argomento serve qui ad allineare il Québec solidaire, per meglio dire a squalificarlo, con La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon.

Senza dubbio queste varie condanne sono solo una tempesta in una tazza di tè, come ce ne sono così tante nella vita politica. Dietro il loro aspetto consensuale, sono tuttavia indicativi di un “nuovo fronte unito” della destra. Perché siamo facilmente indignati dalla presunta ingerenza di un deputato di sinistra nel dibattito francese; in compenso non viene detta una parola sull’importazione in Quebec di nuove categorie ideologiche dall’Europa.

In effetti, le critiche rivolte a Ruba Ghazal nascondono la battaglia semantica attualmente in corso tra editorialisti e saggisti conservatori, la cui strategia primaria mira a normalizzare e legittimare l’estrema destra e i suoi temi tra il pubblico del Quebec. Se dobbiamo credere, ad esempio, a Joseph Facal, la “spaventosa ascesa” di questo movimento politico deriverebbe essenzialmente da una “ridicola ossessione mediatica” che imporrebbe la sua griglia di lettura “moralizzante e colpevole”. Fondamentalmente, gli appelli volti a impedire all’estrema destra di prendere il potere in Francia equivalgono a panico morale.

Da parte sua, Christian Rioux giudica il Raggruppamento Nazionale un “partito nazionale populista”, etichetta che Jean-Marie Le Pen, allora leader del Fronte Nazionale, non avrebbe certo sconfessato ai suoi tempi. È indiscutibile che Jordan Bardella segna una “evoluzione dei nuovi diritti” che poco ha a che fare con le tendenze fasciste del secolo scorso. Tuttavia è semplicistico e perfino irresponsabile credere per un solo istante che il termine estrema destra non avrebbe altra funzione nel dibattito pubblico che quella di stigmatizzare l’avversario: “Non importa quello che pensiamo del programma della Nazionale Il rally, associarlo al rovesciamento violento della democrazia liberale è oggi pura fantasia. » Ma cosa dobbiamo pensare, precisamente, di questo programma?

Non è perché siamo fotogenici e puliti con noi stessi, dopo aver scambiato la camicia marrone con quella bianca, che siamo riusciti a cancellare le origini xenofobe, razziste e antisemite del nostro partito. Basta ascoltare con un po’ di attenzione gli iscritti ed i rappresentanti del Raduno Nazionale. Allo stesso modo, il rispetto delle regole formali del gioco repubblicano non fa di un democratico convinto.

Eletto presidente della Seconda Repubblica nel 1848, Luigi Napoleone Bonaparte compì un colpo di stato tre anni dopo prima di instaurare il regime autoritario del Secondo Impero. Possiamo allora davvero affermare con Mathieu Bock-Côté che l’estrema destra è una “etichetta assurda”, il segno di chi “non capisce niente di niente”? Nel suo saggio Totalitarismo senza gulag, pubblicato nel 2023, l’autore vede nel wokismo e nel politicamente corretto un comunismo perseguito con altri mezzi. Al contrario, non esita a dichiarare che l’estrema destra sarebbe il bersaglio e perfino la vittima di ripetute campagne di demonizzazione e criminalizzazione. Subirebbe una sorta di stalking e addirittura di “violenza storica” da parte dei media e delle associazioni di attivisti di sinistra. Per quanto riguarda le tendenze “illiberali” delle nostre società, esse sarebbero osservate più verso il centro di Bock-Côté, sia nel Macronismo in Francia che nel Trudeauismo in Canada.

In termini di violenza, quasi dimentichiamo la lunga lista che va dalle SS ai Proud Boys passando per gli skinhead russi. Tutti gli autori sopra citati sottolineano giustamente ciò che lega la nuova destra in Francia alla rabbia popolare contro le élite politiche percepite come indifferenti alle preoccupazioni ordinarie dei cittadini. La crisi dei Gilet Gialli ne è stata l’esempio più eloquente. Dimenticano che il Raggruppamento Nazionale attira a sé anche i nostalgici dell’Algeria francese, gli ostili al diritto fondiario, coloro che continuano a lodare i benefici della colonizzazione o che hanno applaudito nel 2007 la creazione del Ministero dell’identità nazionale sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy .

Lontano dall’autocompiacimento dei nostri editorialisti, pronti a difendere questa Francia rancida e ammuffita, Ruba Ghazal è forse colpevole di ingerenza agli occhi dei suoi colleghi parlamentari. Ella sa almeno dimostrare discernimento critico di fronte alla storia in atto.

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