Mostra a Carouge: il museo espone la foto di Marcel Bolomey

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Il Museo espone la foto di Marcel Bolomey

Pubblicato oggi alle 10:15

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Non smettiamo mai di riscoprire, o di credere di riscoprire, i fotografi. Anche se le persone non utilizzavano i propri dispositivi così spesso come con l’attuale applicazione mobile, il 20° secolo era già un secolo di saturazione nell’ottava arte. Regolarmente le mostre mettono in risalto nomi antichi completamente sconosciuti. Almeno dal grande pubblico. Questo è logicamente il caso della Svizzera. Il Paese conta due musei riservati alla fotografia, anche se il Photo Elysée di Losanna a volte può sollevare dubbi. La prima mostra in questi luoghi della nuova direttrice Nathalie Herschdorfer, dedicata a Laila Abril, comprendeva solo video e ritagli di stampa. Bisogna sempre sapere come innovare?

Un’infanzia terrificante

Il Museo Carouge propone attualmente un omaggio a Marcel Bolomey (1905-2003). Un completo sconosciuto, almeno per me. Non è la prima volta che la piccola istituzione (la città è più popolata di Aarau, dove ha sede una delle più importanti istituzioni svizzere…) propone un fotografo. Chiusa da tempo per lavoro, mostrava il ritrattista ginevrino “hollywoodiano” Ernest Piccot in una caserma spinta accidentalmente sul Boulevard des Promenades nel 2020. Anche questa volta si tratta di mettere in risalto una figura locale, anche se i collegamenti tra Marcel Bolomey e la sua città natale si sono dilatati. L’uomo trascorse gran parte della sua vita negli Stati Uniti, dove arrivò nel 1947 e dove visse fino alla morte nel 2003. Una lunga seconda metà durante la quale non svolse, è vero, quasi più alcuna attività di reporter.

Marcel Bolomey nei suoi anni a Carouge.

Ma cominciamo dall’inizio. Mi sembra ancora più logico. Marcel è il frutto della storia d’amore tra un pittore e la sua amante. La coppia vive nello scandalo o, visto che siamo in terre cattoliche, nel peccato. Nel 1907, quando aveva due anni, suo padre accettò di sposare la madre di origine jenisch in cambio di un cavallo promesso dal comune. Sembra un western alla “The Outlaw”, dove Jane Russell si vedeva scambiata per uno stallone. Nel 1909 la madre morì. Il bambino passa alla nonna, che vive in estrema povertà. Questo a sua volta scomparve nel 1918. L’adolescente fu quindi collocato in una fattoria, dove sarebbe stato ospitato e nutrito in cambio del suo lavoro. Cercherà di uscire il più velocemente possibile. Marcel posa per artisti come Alexandre Blanchet o Serge Pahnke che meritano di essere riportati sotto i riflettori.

Il subacqueo che realizza il poster.

Segue infine la foto. “Ho sempre avuto la fortuna di trovarmi nel posto giusto nel momento peggiore”, avrebbe detto in seguito Bolomey. Ha lavorato come freelance per riviste prima di diventare il primo fotografo ufficiale delle Nazioni Unite, trasferitosi a Ginevra dopo la guerra. Rimosse tra il 2022 e il 2024 dai negativi originali, la maggior parte delle immagini risalgono a quegli anni con un picco per gli anni 1938 e 1939. Sul binario c’è di tutto, dalle vedute del lago (presentate parallelamente all’ 15 luglio in i Bains des Pâquis) ai matrimoni visti in modo insolito o allo svolgimento del congresso sionista tenutosi a Ginevra nel 1939. Un colpo di stato prima della catastrofe. Rimaniamo nello stile dell’epoca con soggetti ben inquadrati, ma in maniera abbastanza flessibile. Illuminazione curata, generalmente naturale. Un certo gusto per la stasi, determinato dalla posa. È un lavoro bellissimo, ma niente di più. La tragedia del talento fotografico è che molte persone ce l’hanno.

Il camminatore notturno di Cours Saint-Pierre, intorno al 1938.

Dopo aver mostrato Churchill a Ginevra nel 1946 e l’ONU agli albori, Bolomey partì per gli Stati Uniti, dove sarebbe diventato Bolomet. Non potrà aderire alle potenti corporazioni, che costituiscono sindacati protezionistici. Lì svolse molti lavori, compreso quello di guardia del museo al Getty, allora con sede a Malibu. Invecchiato, questo padre di due figli nati da due matrimoni vendette la sua produzione per un dollaro simbolico a Robert Brecko Walker che lo aveva aiutato a digitalizzare i suoi negativi nitrato. Una necessità di archiviazione. I positivi che oggi potremmo definire “vintage” scomparvero durante un incendio. Questo fondo non passerà poi alla Photo Elysée, ma grazie alla Fondazione Gottfried Keller presso la Fotostiftung Schweiz di Winterthur. Il tempio dell’ottava arte svizzera, installato nel Fotomuseo della città. Lui (o lei) organizzerà una mostra su Bolomey nel 2022.

Una seconda parte della mostra è ai Bains des Pâquis. Ovviamente riguarda il lago.

È quindi attraverso quest’ultimo mezzo che Marcel Bolomey-Bolomet torna oggi a Carouge, con una mostra chiaramente divisa in due. Le prime sale raccontano l’uomo e la sua storia, mentre le ultime offrono un’antologia della sua produzione. Edith Piaf nel 1938. Un uomo solo di notte sulla piazza della cattedrale di Saint-Pierre. Un tuffatore da un ponte davanti all’Hôtel des Bergues. Bambini che giocano tra le rovine di una cittadina del nord della Francia nel 1945. Possiamo pensare a tante persone davanti a queste immagini che rientrano, seppur precocemente, in quella che è una foto “umanista”. Tuttavia, qui non si vuole stabilire una complicità con lo spettatore, né addolcirlo. Rimaniamo sobri con Marcel Bolomey che merita un posto, anche se piccolo, nel pantheon dei fotoreporter. Va detto, come vi ho già sottolineato, che allora la concorrenza in questo settore appariva molto vasta. Molto largo. Troppo grande, a volte. E questo anche nella Piccola Svizzera. Basti pensare al lavoro della Mediateca vallesana di Martigny!

Pratico

“Marcel Bolomey, Il mondo attraverso la lente di un Carougeois”, Musée de Carouge, 2, place de Sardaigne, Carouge, fino al 4 agosto. Come. 022 307 93 80, sito web https://carouge.ch Aperto dal martedì alla domenica dalle 14:00 alle 18:00.

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Nato nel 1948, Etienne Dumont studiato a Ginevra che gli furono di scarsa utilità. Latino, greco, diritto. Avvocato fallito, si dedicò al giornalismo. Molto spesso nelle sezioni culturali, ha lavorato dal marzo 1974 al maggio 2013 alla “Tribune de Genève”, iniziando parlando di cinema. Poi vennero le belle arti e i libri. Per il resto, come potete vedere, nulla da segnalare.Più informazioni

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