ascoltano i primi immigrati algerini

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Minatori algerini, in Francia, nel 1930. KEYSTONE-FRANCIA

“Popoli colonizzati ingovernabili. Discorsi degli algerini alle autorità francesi (Akbou, Parigi, 1919-1940)”, di Emmanuel Blanchard, Les Presses de Sciences Po, 260 p., €26, digitale €20.

“Siamo venuti in Francia. Voci dei giovani algerini, 1945-1963”, di Mathias Gardet, Anamosa, 448 pag., 26 €, digitale 19 €.

È passato quasi un secolo da quando la storia non si concentra più esclusivamente sul destino degli Stati e dei “grandi uomini” che li guidano. E così da un secolo una domanda tormenta la disciplina: come trovare e far sentire la voce degli umili, dei subordinati, dei dominati? Mugnai e operai, artigiani e servi, che non hanno lasciato traccia della loro esistenza, o pochissime? Nessun campo storiografico è più esplorato da questa questione della storia coloniale, il luogo della disuguaglianza sistemica nell’accesso alla scrittura tra coloro che istituirono la colonizzazione e coloro che la subirono. Questo è il motivo per cui funziona come Popoli colonizzati ingovernabilidi Emmanuel Blanchard, e Siamo venuti in Franciadi Mathias Gardet, che restaura e analizza i testi algerini utilizzando coincidenze d'archivio, sono di inestimabile valore.

È nella soffitta di una scuola elementare delle 17e quartiere di Parigi dove giacevano dormienti i documenti studiati da Emmanuel Blanchard, specialista dell'immigrazione algerina nella Francia continentale. Questa struttura aveva ospitato, durante il periodo tra le due guerre, il servizio per gli affari indigeni del Nord Africa. Tutto ciò che restava erano fascicoli sparsi e danneggiati, di cui negli anni 2000 si salvarono una decina di scatole, un tesoro documentario studiato qui in modo esaustivo per la prima volta. Questa organizzazione creata nel 1925, incaricata di monitorare e assistere i primissimi immigrati algerini nella Francia metropolitana, riceveva lettere che testimoniavano la condizione sociale di questi uomini, la maggior parte dei quali provenienti dalla Cabilia.

Negli anni '30 gli scrivevano di proprietà, questioni familiari o problemi con l'amministrazione. Un'eredità contesa, un matrimonio da annullare, una fontana da riparare, un'autorizzazione a portare un'arma: piccole controversie ogni volta, che il ricercatore decifra brillantemente, utilizzandole per ricostruire il quadro ordinario della situazione coloniale. Fa così luce sull'identità sociale degli uomini trasferitisi a Parigi dal loro villaggio algerino, sul loro rapporto con la scrittura, nonché sul groviglio legislativo tra metropoli e colonia in cui si dibattono. Il titolo del libro ne riassume perfettamente la conclusione. Osando rivolgersi a chi li governa contro la sua volontà, questi “colonizzato” assumere una posizione di cittadini fondamentalmente incompatibile con il loro status di sudditi coloniali, e diventarlo “ingovernabile”.

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