“Framboise”, dolce soprannome di Françoise Dorléac e titolo dell’appassionato libro di Aurélien Ferenczi. La recensione di “Sud Ouest”

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Aurélien Ferenczi

Istituto Lumière/A. Oliviero

Tardi, sempre tardi

Naturalmente c’è la sua morte. È senza dubbio questo che per primo l’ha consacrata come icona e incarnazione di un’epoca. Ricordiamo i fatti: il 26 giugno 1967, una piccola Renault a noleggio procedeva a velocità troppo elevata sulla strada per l’aeroporto di Nizza. L’attrice è in ritardo (a quanto pare lo era costantemente). L’incidente – anche questa figura retorica di questo tempo, come nel caso di Godard o Ballard – è terribile. Bruciato vivo. Aveva venticinque anni. Cosa lascia dietro di sé? I film, innanzitutto. Sorprendentemente numerosi e belli, girati in tutta fretta in soli quattro o cinque anni. Come una prescienza che la giovane donna avrebbe avuto che avrebbe dovuto agire in fretta… Tuttavia, “L’uomo di Rio” di Philippe de Broca, “La Peau Douce” di François Truffaut, “Cul-de-sac ” di Roman Polanski e ovviamente “Les Demoiselles de Rochefort”, non è proprio niente. Cosa lascia dietro di sé… Una sorella, in lutto per sempre, a pari merito, Catherine Deneuve. E una grazia, un carattere, una sensualità (anche la Bardot, forse, non ballava bene come lei…), che non riuscì mai a farsi dimenticare.

Ritratto cinese

Almeno non da uno dei cinefili più brillanti dell’epoca, quello di Aurélien Ferenczi. Il giornalista e autore propone con “Framboise”, una tomba quanto un esercizio di ammirazione, il libro che tutti i ferventi comunicatori del “culto Dorléac” non sapevano aspettarsi. Ferenczi parte dal principio, che si rivelerà rilevante, che i film dell’attrice, quelli belli come quelli più superflui, costituiscono una sorta di ritratto cinese della donna che lei fu. Qui il movimento che muove le linee, là la dolcezza e il dubbio. Sempre veloce. Passano le discoteche e gli innamorati.


Cannes 1964: François Truffaut è circondato da Françoise Dorléac (a destra) e Nelly Benedetti (a sinistra).

AFP

Tanti (emergono alcuni volti, ancora Truffaut, Jean-Pierre Cassel, Guy Bedos, Michael Caine), perché vivere è esaurirsi nella fatica e nel desiderio e ogni scatto è una pagina bianca aperta alla noia e all’ideale. E poiché quella della ragazza è una domanda sempre senza risposta, il sottotitolo del libro è “Alcune ipotesi su Françoise Dorléac”. Ben visto. Scrive Ferenczi: “Dobbiamo prendere sul serio l’idea che ci fosse in lei una luce, una presenza insieme gioiosa e febbrile, che la distinse immediatamente. »Questa luce non si spegnerà mai più.

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