Parole e libri. Quello che devi sapere sulle nostre carceri

Parole e libri. Quello che devi sapere sulle nostre carceri
Parole e libri. Quello che devi sapere sulle nostre carceri
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Prigione, cura per tutti i nostri mali. Non è possibile trovare altra soluzione contro i seguaci di questa violenza che alimenta l’insicurezza che affligge la nostra società. È sempre più difficile sfuggire a questo discorso ovviamente riduttivo. Un discorso che trova una compiacente eco mediatica e che quindi non possiamo stupirci di trovare accettato come verità primaria da coloro che se ne nutrono in tal modo. E che importa se la maggior parte di questi entusiasti del carcere non hanno mai messo piede in un carcere e addirittura non sanno, o almeno non vogliono sapere, cosa sta succedendo lì!

Tra le carceri più sovraffollate d’Europa

In un simile contesto, il lavoro di Sylvain Lhuissier, che offre un punto di vista completamente diverso, è tanto più meritorio in quanto giudica sulla base delle prove. Anche se si teme che non si prospetti un grande successo. Il titolo stesso, “Decarcerate”, annuncia l’intenzione dell’autore. Egli vuole infatti dimostrarci, anche se ciò significa andare contro le idee prevalenti del momento, che non solo i giudici non sono lassisti, ma soprattutto che le nostre carceri, così come sono organizzate, non possono essere considerate il miracolo formula per punire e riabilitare, cosa che tuttavia dovrebbe avvenire.

Pertanto, dobbiamo già misurare il sovraccarico delle cellule. È un’astrazione solo per coloro che non devono sopportarla. Con un “tasso di occupazione medio del 125% (75.677 persone detenute per 61.359 posti)”, indica Sylvain Lhuissier, “la Francia occupa il terzo posto nella ingloriosa lista delle carceri più sovraffollate d’Europa”. Basti dire che questa promiscuità porta a convivere individui molto diversi. E sappiamo chi influenza chi. Inoltre, “al 1° dicembre 2023, tra le 51.500 persone detenute nei centri di custodia cautelare, il 39% si trova in custodia cautelare, cioè incarcerato in attesa del giudizio”. E poche persone vi trovano la possibilità di lavorare (per una retribuzione pari a circa il 20% del salario minimo) o di formarsi. “Tra gli agenti del Ministero della Giustizia”, nota l’autore, “ci sono 30.000 funzionari incaricati del monitoraggio delle carceri e 5.000 responsabili dell’integrazione dei condannati. Va inoltre ricordato che “oltre il 35% delle persone detenute soffre di disturbi mentali, otto volte di più rispetto a chi si trova all’esterno”. Non c’è da stupirsi che “in carcere si suicidino sette volte più persone che fuori”. D’altro canto, sono relativamente poche le persone che scappano dalle nostre prigioni. Una ventina di evasioni all’anno, certamente seguite con attenzione dai media, meno attenti al 59% dei detenuti condannati nuovamente dopo essere stati rilasciati, a dimostrazione eloquente di un sistema che produce effetti opposti a quelli attesi.

Un costo di 100 euro per detenuto, al giorno

La costruzione di nuove carceri è la soluzione giusta? L’esperienza insegna infatti soprattutto che il numero dei posti aumenta meccanicamente il numero delle carcerazioni, poiché evita la ricerca di soluzioni alternative. Soluzioni alternative che tuttavia hanno dimostrato il loro valore, soprattutto presso coloro che non sono ancora diventati delinquenti di alto livello e criminali accertati. Tuttavia, quando il livello di carcerazione raggiunge un tasso record, come nel caso degli Stati Uniti, ciò rivela soprattutto le divisioni all’interno della società, in questo caso a scapito della comunità afroamericana, senza ridurre realmente la criminalità.

Infatti, rileva l’autore, “non troviamo, sul suolo francese, due carceri identiche e siamo lontani da un “servizio di detenzione pubblica” che garantisca modalità di carcerazione omogenee su tutto il territorio”. Ciò che i sostenitori di tutte le carceri fingono di ignorare è che la reclusione ha un costo. “Un giorno di detenzione – nota Sylvain Lhuissier – costa in media 100 euro. Chiudere un cittadino costa alla comunità più di 30mila euro l’anno. Quattro volte più costoso dell’istruzione di uno studente per un anno.

Un dibattito necessario

Il saggio di Sylvain Lhuissier, lo ricordiamo, non pecca di ingenuità. Non nega la necessità della reclusione per alcuni criminali. Sapendo che questi criminali accertati “rappresentano solo l’1,5% delle persone condannate a una pena detentiva”. Si mette semplicemente in discussione un sistema che, in condizioni così deplorevoli, si trova a confrontarsi con individui notoriamente pericolosi, con coloro che hanno commesso oltraggi o atti di ribellione o con coloro che si sono resi colpevoli di reati stradali. Ciò che l’autore ci dice, supportato da dati fattuali, è che una società adulta non può evitare in modo sostenibile una riflessione razionale sui meriti e sull’efficacia del suo sistema repressivo. Il che rende il suo libro un utile contributo a un dibattito necessario.

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“Decarcerare”

Un saggio di Sylvain Lhuissier. Editore di Rue de l’Échiquier. €12.

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