“Non ci resta che farlo”, un piccolo riassunto sull’inquinamento e il trattamento delle acque sulla costa basca

“Non ci resta che farlo”, un piccolo riassunto sull’inquinamento e il trattamento delle acque sulla costa basca
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HADopo una serie di articoli che hanno cercato di descrivere e spiegare i vari inquinamenti osservati negli ultimi anni nelle acque costiere della costa basca, dando voce a professionisti, politici e altri scienziati, in particolare nelle colonne di “Sud Ouest”, si è parlato di occorre un po’ di coraggio per tentare la sintesi. Nella sua opera intitolata “Y a qu’à fou qu’on”, Alexandre Hurel, editore…

HADopo una serie di articoli che hanno cercato di descrivere e spiegare i vari inquinamenti osservati negli ultimi anni nelle acque costiere della costa basca, dando voce a professionisti, politici e altri scienziati, in particolare nelle colonne di “Sud Ouest”, si è parlato di occorre un po’ di coraggio per tentare la sintesi. Nella sua opera intitolata “Y a qu’à fait qu’on”, Alexandre Hurel, editore, autore, ma soprattutto zelante utilizzatore dell’oceano, fa ciò con uno stile didattico che permette di considerare il problema nella sua totalità. Una sfida.

Fin dall’inizio, l’editore indipendente (a capo della casa editrice Cibourian Arteaz, già Pimientos) si pone al livello del semplice “consumatore dell’oceano”, molto rispettoso di un ambiente la cui mistica gli è stata trasmessa dai tahitiani: “Fondamentalmente mi dava fastidio fare il bagno nell’acqua sporca. Per me le soluzioni erano semplici e richiedevano solo la volontà politica. Dobbiamo solo farlo. Ero partito anche per scrivere un opuscolo. Le mie prime interviste con Mathieu Kaiser (consigliere comunale di Biarritz, delegato per la biodiversità e le acque di balneazione, ndr) e Thierry Patouille (direttore generale delle acque, delle coste e degli ambienti naturali nell’agglomerato dei Paesi Baschi) mi hanno dissuaso. »

Caso particolare

Invece di colpire facilmente la testa dei funzionari designati, Alexandre Hurel si impegna in un esercizio metodico, con un tono diretto e schietto. Vengono poste tutte le domande che ha in mente, ampiamente condivise da molti indigeni.

Ciò ci permette di comprendere il caso particolare di un territorio ristretto, dove la goccia che cola dai Pirenei si ritrova molto rapidamente nell’oceano. Una storia in cui alcuni comuni non hanno fatto il punto della questione con la stessa rapidità di altri. Fin dalla sua creazione, spetta all’agglomerato farsi carico integralmente dell’eredità della politica idrica e igienico-sanitaria: “Vi dedica 100 milioni di euro all’anno, ovvero due terzi dei suoi investimenti, la metà del budget operativo”, impariamo da Thierry Patouille.

Un’ampia sezione è dedicata alla depurazione (quasi 2.200 km di tubazioni nel territorio), al suo funzionamento, alle possibilità (rete unitaria o separata) nessuna delle quali offre garanzia di trattamento totale, senza dispersioni nell’ambiente naturale. Uno zoom, ovviamente, viene effettuato sugli impianti di trattamento.

“Nessuna porta chiusa”

Con una forte connotazione didattica, l’opera si concentra sulla descrizione di tutti i tipi di inquinamento (batteriologico e chimico) e delle loro manifestazioni (alghe, muschi) e rivela ancora la frustrazione rispetto al tema dell’eutrofizzazione, fenomeno anch’esso attentamente affrontato, la cui verità non è necessariamente condiviso tra scienziati e decisori…

“Durante questa indagine, non ho riscontrato porte chiuse”, apprezza l’autore. Non siamo in Bretagna. Alla fine si arriva a questa conclusione: non possiamo accusare questa o quella istituzione, questo o quello responsabile. Siamo di fronte ad un problema sistemico. Da monte a valle, dalle aree urbanizzate a quelle rurali, c’è molto da fare. Non raggiungeremo questo obiettivo senza una consapevolezza collettiva… e senza molte risorse. »

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