Una manciata di vite Marlen Haushofer

Una manciata di vite Marlen Haushofer
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Una donna libera e senza legami

Vent’anni dopo aver rotto i legami con marito, figlio e amante, Betty, (conosciuta anche come Elizabeth e Lisbeth), che si credeva scomparsa, ritorna in incognito, a 45 anni, con lo sguardo nascosto da grandi occhiali neri nella casa in cui viveva.
Presentandosi come potenziale acquirente di questa casa messa in vendita, chiede di pernottare lì e trova una serie di foto del suo passato.
Classico procedimento riscontrabile in molte opere dei ricordi, che permette di tornare indietro nel tempo e ripercorrere gli esiti di una vita.

Bambina amata e viziata dai genitori, fu dapprima, come ci si aspetta da ogni ragazzina della buona società tedesca, cresciuta nella disciplina di un collegio gestito da suore, dove lasciò il ricordo di una “capricciosa, libera e distaccata ” bambino capace di agire sugli altri “come un veleno”.
Da giovane accetta di fidanzarsi, ma rompe con il marito prima del matrimonio.
Poco dopo si sposa, dà alla luce un bambino, prende un amante e poi se ne va senza lasciare indirizzo, delusa dalla vita “fredda, incolore e inodore” che ha condotto. Non avendo “mai voluto essere amata”, si libera “dal peso insopportabile dei sentimenti”.

Come possiamo provare empatia per un personaggio del genere?
Una donna insensibile, che sceglie di abbandonare la compagnia di chi è attratto da lei, che può ostacolare i suoi impulsi. Per lei, come suggerisce il titolo, le persone che incontra nel suo viaggio si riducono a “una manciata”, un insieme di piccole cose di cui ci liberiamo facilmente.

Nonostante il talento di Marlène Haushofer nell’analizzare il comportamento del suo personaggio con una finezza e un’acutezza che possono ricordare quelle di Stefan Zweig, sono rimasto impassibile davanti a questo ritratto di una donna fredda, insensibile agli altri, resistente alle convenzioni e alle regole.

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