Perché la Francia dà impegni a Benyamin Netanyahu dopo il mandato d'arresto emesso dalla Corte penale internazionale

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a New York, durante la 79a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 27 settembre 2024. CHARLY TRIBALLEAU/AFP

Si tratta di un duro colpo per la Corte penale internazionale (CPI), soprattutto da parte di uno dei suoi Stati fondatori, che si vanta anche di essere il “patria dei diritti umani”. Con una dichiarazione criptica, mercoledì 27 novembre, la Francia ha minato l’autorità di questo organo giudiziario e ha ridotto il peso del mandato d’arresto emesso sei giorni prima dai suoi giudici contro Benyamin Netanyahu per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel contesto della guerra in Gaza. Il tutto, da fonti confermative, per non rompere con il primo ministro israeliano, che ha contestato il ruolo di mediatore rivendicato da Parigi nella ricerca di un cessate il fuoco in Libano, vinto con una dura lotta e annunciato martedì sera da Joe Biden ed Emmanuel Macron. .

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Dopo diversi commenti confusi, la Francia ha chiarito la sua posizione sul mandato d'arresto emesso dalla CPI contro il capo del governo israeliano. Pur affermando che lei “rispetterà i suoi obblighi internazionali” e che lo Statuto di Roma, testo fondatore della Corte, “richiede piena collaborazione con la Corte penale internazionale”, il comunicato stampa diffuso dal Quai d'Orsay sottolinea che questo testo “prevede inoltre che uno Stato non possa essere tenuto ad agire in modo incompatibile con i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale per quanto riguarda le immunità degli Stati non parti della CPI”. Un riferimento all'articolo 98 dello Statuto di Roma. E la Farnesina continuava: “Tali immunità si applicano al Primo Ministro Netanyahu e ad altri ministri competenti e dovranno essere prese in considerazione nel caso in cui la Corte penale internazionale ne richiedesse l’arresto e la consegna. » Poiché lo Stato ebraico non ha firmato lo Statuto di Roma, non ha rinunciato alle immunità dei suoi attuali leader, a differenza dei 124 Stati parti della CPI, compresa la Francia.

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Questo “chiarimento” ebbe tanto più l'effetto di a un colpo di fulmine, che avviene in un contesto di ricorrenti tensioni tra i governi francese e israeliano, al termine di settimane di trattative per ottenere un cessate il fuoco in Libano. Nella fase finale di questi colloqui, l’annuncio da parte della Corte penale internazionale del rilascio dei mandati, giovedì 21 novembre, ha ulteriormente messo a dura prova gli scambi, spesso aspri, tra Emmanuel Macron e Benjamin Netanyahu. Tanto che quest'ultimo, secondo una fonte autorevole, ha chiesto venerdì, per telefono, al presidente francese di esprimersi contro la decisione della Corte. Con grande urgenza, ha ribadito una minaccia brandita negli ultimi mesi nel corso dei suoi attriti con l'inquilino dell'Eliseo: contestare gli sforzi di mediazione della Francia in Libano e escluderlo dal comitato di sorveglianza di un possibile cessate il fuoco il consiglio di Beirut e Washington, che hanno invece insistito per mantenere Parigi a bordo.

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