Anche se l’insediamento di Donald Trump non avrà luogo prima del 20 gennaio, il suo nome sarà nella mente di tutti alla 29esima conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si aprirà questo lunedì a Baku, in Azerbaigian. Il vincitore delle elezioni presidenziali americane è favorevole a far uscire gli Stati Uniti dall’accordo faro di Parigi.
Basterà infatti una sola firma perché Donald Trump, al suo ingresso alla Casa Bianca, si unisca a Iran, Yemen e Libia al di fuori del testo adottato dai paesi di tutto il mondo nel 2015. Questo accordo è però il motore che ha reso possibile possibile invertire la traiettoria del riscaldamento globale degli ultimi dieci anni portandolo a circa 3°C o meno entro il 2100.
Macron e Scholz assenti
E se gli europei giurano che raddoppieranno gli sforzi per compensare il ritiro americano, pochi andranno a Baku. Né Emmanuel Macron né Olaf Scholz parteciperanno al vertice di martedì e mercoledì di un centinaio di leader. “Tutti sanno che questi negoziati non saranno semplici”, ha detto il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock.
Assente anche il brasiliano Lula, ospite della COP30 del prossimo anno. Il colombiano Gustavo Petro ha cancellato a causa delle inondazioni nel suo paese, e il primo ministro olandese dopo le violenze contro i cittadini israeliani ad Amsterdam. Ma i talebani hanno inviato una delegazione.
Secondo l’ONU sul clima sono accreditati circa 51.000 partecipanti, meno rispetto alla COP28 di Dubai dell’anno scorso. Diverse ONG criticano anche lo svolgimento della conferenza in un Paese che celebra il petrolio e dove le autorità hanno arrestato diversi attivisti ambientali.
Nessun consenso sui fondi da sbloccare
L’Accordo di Parigi impegna il mondo a limitare il riscaldamento globale a 2°C e a proseguire gli sforzi per contenerlo a 1,5°C, rispetto alla fine del 19° secolo. L’anno 2024, torrenziale per molti paesi, sarà quasi certamente a questi livelli.
L’ugandese Adonia Ayebare, presidente del blocco negoziale G77 + Cina, che riunisce i paesi in via di sviluppo, avverte che i negoziati di due settimane saranno difficili sulla questione principale di questa COP: quanti miliardi di aiuti saranno disposti a ricevere i paesi ricchi? coinvolto? Quindici anni fa, durante il fiasco della COP di Copenaghen, i paesi sviluppati salvarono la situazione promettendo 100 miliardi di dollari in aiuti annuali entro il 2020 per i paesi in via di sviluppo. Questo denaro, costituito in gran parte da prestiti, consente di costruire centrali solari, migliorare l’irrigazione, costruire dighe o aiutare gli agricoltori ad affrontare la siccità.
Il nostro dossier sul cambiamento climatico
È giunto quindi il momento di aumentare gli aiuti Nord-Sud. Ma non sarà facile. Il clima nei paesi ricchi è quello dell’austerità (in Europa) o del disimpegno internazionale (negli Stati Uniti). Molti chiedono quindi alla Cina e ai Paesi del Golfo di contribuire maggiormente. Ma Pechino non la vede affatto in questo modo.