ll trionfo personale di Donald Trump nelle elezioni presidenziali del 5 novembre è accompagnato da un’altra impresa politica: la trasformazione del Partito Repubblicano, che oggi si traduce in una ricomposizione storica dell’elettorato americano.
Le prime analisi geografiche e sociologiche del voto del 5 novembre evidenziano uno spettacolare avanzamento del Grand Old Party (GOP) nelle categorie dell'elettorato fino ad allora legate al Partito Democratico. Questa impennata è particolarmente notevole tra gli elettori ispanici e della classe operaia. Colpisce, in misura minore, anche l’elettorato maschile afroamericano.
In otto anni, attraverso un primo mandato alla Casa Bianca e tre campagne elettorali presidenziali, l'ex imprenditore è riuscito a conquistare il sostegno, dopo gli operai del 2016 sedotti dal suo protezionismo, di una quota significativamente borghese, in particolare latina . In linea con l’evoluzione demografica del paese, ha messo insieme una coalizione repubblicana ormai multietnica, capace di attrarre persone situate agli ultimi gradini della scala sociale.
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Questa realtà contribuisce ad alimentare un orgoglio repubblicano senza precedenti, data la natura indiscutibile della vittoria del GOP, dopo lo scarso risultato del 2016, le battute d’arresto del 2018, del 2020 e le poco brillanti elezioni di medio termine del 2022. Sottolinea implicitamente come l’incapacità del Partito Democratico di affrontare testare le frustrazioni di alcuni americani di fronte all’inflazione, che ha eroso il potere d’acquisto, e all’immigrazione clandestina ritenuta incontrollata che ha pagato a caro prezzo. Il partito di Joe Biden e Kamala Harris si è lasciato ingannare dai buoni risultati macroeconomici ed è stato incapace di formulare una politica migratoria all’altezza delle sfide.
Un presidente uscente impopolare
Fin dal suo fragoroso ingresso in politica, Donald Trump è stato spesso presentato come capace di sfidare le leggi dell’assenza di peso elettorale. Ma la sua grande vittoria del 5 novembre si spiega anche con la legge secondo la quale un presidente uscente impopolare non ha alcuna possibilità di essere rieletto. Certo, il nome di Joe Biden non figurava sulle schede elettorali, ma la candidata democratica, in qualità di vicepresidente, era responsabile di un primato dal quale non è riuscita a liberarsi.
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Un’altra faccia del trumpismo, quella più spesso denunciata dai suoi detrattori, è apparsa in questa campagna costellata di insulti, minacce e menzogne. L’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, che Donald Trump ha incoraggiato per impedire la certificazione della vittoria di Joe Biden, avrebbe dovuto squalificarlo; riportando l'ex presidente alla Casa Bianca, i suoi elettori hanno ridotto questo episodio a una distrazione, a loro rischio e pericolo.
Allo stesso tempo, molti degli slogan che Donald Trump intende trasformare in politiche pubbliche, che si tratti dell’imposizione di massicce tasse sulle importazioni, suscettibili di rilanciare l’inflazione, o dell’espulsione di milioni di migranti senza permesso di soggiorno, potrebbero provocare il caos. Tuttavia: ciò che i sondaggi hanno rivelato sul trumpismo nel 2024 è questa adeguatezza alle preoccupazioni sociali, indipendentemente dalle sue risposte. Per sperare di ricongiungersi con gli elettori che ancora una volta lo hanno abbandonato, il Partito Democratico dovrà tenerne conto, oppure rassegnarsi a rendersi utile.
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