UN ANGOLO TRANQUILLO: GIORNO 1 (2024) – Recensione – Parole finali

UN ANGOLO TRANQUILLO: GIORNO 1 (2024) – Recensione – Parole finali
UN ANGOLO TRANQUILLO: GIORNO 1 (2024) – Recensione – Parole finali
-

Il regista trova più di un modo per mantenere viva la formula, e soprattutto per legittimarne la continuità, anche all’interno di una messa in scena più muscolare e molto meno suggestiva.

Il rischio di ripetizione è presente in molti punti di svolta Un posto tranquillo: primo giorno, un pre-episodio il cui concetto di base è già stato sfruttato particolarmente bene da John Krasinski in due lungometraggi. Soprattutto, le immagini di New York City in rovina a seguito di qualche evento catastrofico sono diventate più comuni in questi giorni rispetto a quelle di una Grande Mela vibrante di vita.

Non stiamo certo esagerando…

Dopo aver preso in mano le redini di questo nuovo percorso che ci porta all’origine dell’invasione orchestrata da un’orda di alieni dalla vista carente ma dall’udito molto sviluppato, Michael Sarnoski (che ci ha regalato l’eccellente Maiale nel 2021), sta già partendo con la buona idea di trasporre questo scenario basato sulla necessità di silenzio assoluto nelle strade e negli edifici di una delle metropoli più rumorose che ci siano.

Ci viene presentata per la prima volta Samira (Lupita Nyong’o), una donna che combatte una lunga battaglia contro la malattia per cui ogni giorno potrebbe essere l’ultimo.

Durante una rara vacanza in città, l’ex scrittrice si ritrova nel cuore del caos e della distruzione provocati dalle voraci creature che già conosciamo. Mentre si organizzano le operazioni di salvataggio, Samira è determinata a restare in città per godersi un’ultima volta uno dei suoi piccoli piaceri della vita prima di morire.

La strada di Samira si incrocia a un certo punto con quella di Eric (Joseph Quinn), uno studente di giurisprudenza britannico che decide di seguirla, non avendo nessun posto dove andare e nessuno da trovare. Durante le loro discussioni, Eric decide di aiutare la sua nuova amica a realizzare il suo ultimo desiderio, e i due intraprendono un pericoloso viaggio verso Harlem.

Krasinski e Sarnoski sostengono chiaramente il notevole adattamento di Guerra dei mondi che Steven Spielberg ci ha regalato quasi vent’anni fa. Un posto tranquillo: primo giorno riprende sostanzialmente le stesse dinamiche della storia di guerra raccontata al livello dei comuni cittadini con notevole impatto ed eloquenza in termini di messa in scena, e marcata empatia con i suoi personaggi.

Se lo spettro dell’11 settembre non è mai lontano in tutte queste immagini di strade che scompaiono sotto una densa nuvola di fumo grigio e cenere, quello dell’impotenza civile nel cuore di qualsiasi conflitto armato è particolarmente sentito quando i sopravvissuti sono chiamati a salire su una piattaforma di lasciare la città, uscendo uno dopo l’altro dal nascondiglio per formare una massa i cui movimenti aumentano rapidamente il numero di decibel.

E Un posto tranquillo: primo giorno è pieno di sequenze stressanti, che sfruttano bene l’obiettivo di dover tacere in una città che solitamente è incapace di farlo, ciò che attira particolarmente l’attenzione è la complicità tra i due protagonisti, e il modo in cui si appoggiano l’uno all’altro per elevarsi e aiutarsi a vicenda a ignorare la propria condizione per superare questo scenario inimmaginabile.

È in questi momenti di grande umanità che il film di Michael Sarnoski trova il suo respiro più significativo, portato avanti da due attori la cui alchimia funziona perfettamente, portando nell’ultimo atto ad alcune scene particolarmente toccanti.

Alla fine, Un posto tranquillo: primo giorno porta a termine esattamente i compiti affidatigli, proseguendo ciò che le opere precedenti hanno saputo stabilire puntando innanzitutto sui personaggi, sulla loro intraprendenza, sulla loro sensibilità, sulla loro considerazione per gli altri e sulla loro bontà intrinseca in uno scenario dove tutto sembra già perduto.

Il cineasta trova così più di un modo per mantenere viva la formula, e soprattutto per legittimarne la continuità, anche all’interno di una messa in scena più muscolare e molto meno suggestiva.

Dobbiamo dare ottimi punti anche al gatto dal nome tutt’altro che innocuo di Frodo, che ruba la scena in ogni sua apparizione, e che Sarnoski usa come filo che gli permette di unire e collegare gli elementi principali della sua storia.

-

PREV questo dettaglio straziante alla fine del film ti farà piangere (ancora di più)
NEXT Aspettando Arma Letale 5, trailer del nuovo Mel Gibson con Mark Wahlberg