Da bambino, Robert Smith si addormentava contando i secondi che passavano tra una goccia e l’altra dal rubinetto che perdeva in fondo al corridoio dell’appartamento della sua famiglia. Erano sempre diciassette secondi. Il resto lo sappiamo. A quasi cinquant’anni dagli esordi dei Cure, il tempo sembra dissolversi in modo esatto, a giudicare dagli otto brani di un quattordicesimo album che si allungano dopo sedici anni di assenza su durate al contrario di ogni vincolo radiofonico (10’24” per il finale diCanzone finale).
« Questa è la fine di ogni canzone che cantiamo »
« Questa è la fine di ogni canzone che cantiamo » (Solo) : così si apre questo oggetto, riconnettendosi con le belle ore di Disintegrazione (1989). Strati di synth ipnotici, batteria ben battuta e basso saturo di Simon Gallup, da questi suoni compressi e bistri emerge un’affermazione nervaliana che traccia la traiettoria di un mondo in decadenza, dove anche gli strattoni di una coppia sono solo il risultato di un pianeta in conflitto (Canto di guerra).
Il resto dopo questo annuncio
Riusciremo a morire insieme? si chiede dentro E niente è per sempre il cantante dalla voce giovane, capace a 65 anni di essere ancora un grande hit maker (Una cosa fragile).