L’opera incoronata: storia di un regno

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Mescolando senza scrupoli personaggi divini e plebei, registri nobili e giullari, l’opera veneziana del XVII secolo provocò una reazione: l’opera seria del secolo successivo richiedeva esclusivamente personaggi nobili e una trama edificante. Con la sua credibilità storica, la storia antica sta gradualmente soppiantando la mitologia come fonte di ispirazione.

Poi inizia il regno lirico degli imperatori e imperatrici romani o orientali – una cerchia che si allargherà fino a includere generali supremi, consoli o dittatori. Naturalmente non si tratta di una novità: lo testimonia L’incoronazione di Poppea (Monteverdi, 1643) o Scipione l’Africano (Cavalli, 1664). Ma la moltiplicazione è abbagliante. Vedi Handel, da Agrippina (1709) a Tolomeo (Tolomeo, 1728), per non parlare di Lucio Cornelio Silla (su Sylla), Ottone (basato sulle vite di Ottone I e Ottone II), Giulio Cesare, Tamerlano (sul khan mongolo ) o Scipione. Anche i principi persiani Serse o Artaserse (suo figlio) sono figure preferite. Vivaldi non è da meno, con Tito Manlio (1719) o Farnace (1727, sul Re del Ponto). Mozart illustrerà lo stesso filone con Mitridate, rè di Ponto (1770), Lucio Silla (1772) poi La clemenza di Tito (1791).

In un’Europa monarchica, questa scelta della storia antica (o medievale) è una garanzia concessa alla censura, evitando qualsiasi caso di lesa maestà – soprattutto perché l’artista dipende dal suo mecenate-datore di lavoro, il più delle volte monarca o aristocratico di alto rango. E quando l’ordine è appropriato, il protagonista reale si concede allora una metafora glorificante: è il caso de La clemenza di Tito di Mozart, destinata alle celebrazioni praghesi dell’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II a re di Boemia.

Figure della Storia in divenire

Nel XIX secolo l’opera attinge sempre più a fonti letterarie più libere nel rapporto con la storia, perché indifferenti alla camicia di forza censurata della rappresentazione. A poco a poco, figure reali storiche compaiono sulla scena e fanno rivivere un passato più recente.

Jane Seymour (Stéphanie d’Oustrac) e la regina Anna Bolena (Elsa Dreisig) sotto lo sguardo della futura regina Elisabetta in Anna Bolena di Donizetti, prima delle tre opere della trilogia Tudor diretta da Mariame Clément, di cui sarà presentato il film completo nel giugno 2024 al Grand Théâtre. — © Magali Dougados per il Grand Théâtre de Genève

Un primo movimento nacque in Italia, sotto l’impulso incrociato della letteratura inglese (Sophia Lee, Walter Scott) e del teatro di Schiller. Evocando il Rinascimento inglese, la “moda Tudor” degli anni 1810-1840 è sufficientemente distante nel tempo da non preoccupare troppo la censura, ma sufficientemente ancorata alla cultura comune da commuovere lo spettatore. Qui spiccano Rossini (Elisabetta, regina d’Inghilterra), Donizetti (Elisabetta al castello di Kenilworth, Anna Bolena, Maria Stuarda, Roberto Devereux) o Pacini (Maria, regina d’Inghilterra). Una generazione dopo, Verdi si legò all’imperatore Carlo V (Ernani poi Don Carlos) e a Gustavo III di Svezia… che dovette però “truccare” come un aristocratico bostoniano (Un ballo in maschera, 1859): rappresentarlo in scena dell’assassinio di questo re, ancora fresca nella memoria (1792), fu impossibile per la censura italiana. Ma non per la censura francese: il Gustave III di Auber avrebbe potuto essere prodotto nel 1833.

Bernard Richter (Titus) ne La clemenza di Titus di Mozart, nella rivoluzionaria messa in scena di Milo Rau che non ha potuto essere proiettata al pubblico a causa del Covid, ma che è stata trasmessa in streaming. Lo spettacolo riprenderà la prossima stagione. — © ©Carole Parodi per il Grand Théâtre Genève

Perché anche la Francia vive la sua ondata storicista: la grande opera francese ha a cuore temi politico-religiosi che coinvolgono il potere reale: Marguerite de Valois appare così in Les Huguenots di Meyerbeer. Quanto a ridere dei re, questo diventa possibile nel repertorio leggero, ma a condizione della finzione assoluta: in Offenbach, la granduchessa di Gérolstein regna così su un impero… dell’operetta.

Accanto alla moda Tudor, anche quella degli zar russi colorò il secolo. Pietro il Grande è l’eroe di Zar und Zimmermann (Lortzing, 1837) e La stella polare (Meyerbeer, 1854); Ivan il Terribile, quello di Ivan IV di Bizet (creazione postuma del 1951); l’impostore Dimitri, quello di Dimitrij (Dvořak, 1882). Dopo una prima opera dedicata a Boris Godunov (1874), Mussorgsky evoca le lotte dinastiche precedenti il ​​regno di Pietro il Grande ne La Khovantchina (creazione postuma nel 1886).

Una regalità disincantata

Dmitry Ulianov (Filippo II) al fianco del marchese de Posa (Stéphane Degout) nel Don Carlos di Verdi, diretto da Lydia Steier, che ha aperto la stagione 2023-24 al Grand Théâtre. — © Magali Dougados per il Grand Théâtre de Genève
Dmitry Ulianov (Filippo II) al fianco del marchese de Posa (Stéphane Degout) nel Don Carlos di Verdi, diretto da Lydia Steier, che ha aperto la stagione 2023-24 al Grand Théâtre. — © Magali Dougados per il Grand Théâtre de Genève

La svolta del XX secolo fu cruciale: l’opera cominciò a rappresentare figure reali o aristocratiche che perdevano potere. Anche nella finzione, l’alta aristocrazia rappresentata in Richard Strauss è esemplare in questo senso: in Der Rosenkavalier (1911), la principessa maresciallo Thérèse von Werdenberg – eco di Maria Teresa d’Austria – si confronta con l’abbandono del suo mondo (Barone Ochs). e la grande borghesia nascente (Faninal); Allo stesso modo Arabella contrappone la famiglia del conte Waldner alla ricca Mandryka. Il destino della nobiltà durante la Rivoluzione francese è un caso estremo: in Andrea Chénier (1896), Giordano conduce al patibolo la musa del poeta (Aimée de Coigny, duchessa di Fleury, divenuta Madeleine de Coigny nel libretto). Sessant’anni dopo, I Dialoghi delle Carmelitane dopo Bernanos (1957) di Poulenc segue una comunità di monache, la maggior parte delle quali aristocratiche, alla ghigliottina. Anche quando il “modello” storico viene risparmiato dalla Storia, la sua copia fittizia non lo è: ispirato dall’imperatore Federico II, Il principe di Homburg di Henze secondo Kleist (Der Prinz von Homburg, 1960) perde così tutti i suoi mezzi. Il diritto divino e il sangue blu hanno una stampa decisamente meno buona: il regno dell’opera incoronata sta volgendo al termine. E se è “gloriosa” è perché torna tra le commissioni dell’occasione l’Elisabetta I di Gloriana (Britten, 1953), l’opera che qui celebra l’incoronazione di Elisabetta II.

Nelle opere di oggi, mentre i regimi democratici hanno conquistato la mappa europea, le figure presidenziali hanno sostituito i re.

In un secolo in cui i regimi democratici hanno conquistato la mappa europea, le nuove figure di statisti sono quelle presidenziali: nel 1987, John Adams confronta Richard Nixon con Mao in Nixon in Cina; nel 2016, David T. Little ha creato JFK. D’ora in poi, la Storia sarà spesso scritta da “marginali” del circolo politico o sociale (The Life of Malcolm X: Davis, 1986; Harvey Milk: Wallace, 1995). Anche nel suo ultimo recinto – il fascino suscitato dai suoi privilegi – l’élite scopre nuovi rivali: le celebrità dello schermo o dei media (esempio emblematico: Waiting for Miss Monroe di De Raaff, 2012). Solo lo scandalo scandaloso che suscitò negli anni ’60 permise alla duchessa d’Argyll di ispirare Thomas Adès in Powder Her Face (1995)… Nel regno dell’opera, i sovrani di oggi sono senza corone.


Dottore in musicologia, professore associato di musica e diploma statale di tecnica vocale, Chantal Cazaux ha insegnato per dieci anni all’Università di Lille ed è stata caporedattrice de L’Avant-Scène Opéra dal 2012 al 2022. È autrice, edito da Premières Loges, di Verdi, istruzioni per l’uso (2012), Puccini, istruzioni per l’uso (2017) e Rossini, istruzioni per l’uso (2020).


Incontro al Grand Théâtre de Genève

Trilogia Tudor
dal 18 al 30 giugno 2024

https://www.gtg.ch/saison-23-24/trilogia-tudors/
biglietteria

Roberto Devereux
Dal 31 maggio al 30 giugno

https://www.gtg.ch/saison-23-24/roberto-devereux/
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