“Dobbiamo cavarcela con i linguaggi che la poesia eredita” (Métamorphiques)

“Dobbiamo cavarcela con i linguaggi che la poesia eredita” (Métamorphiques)
“Dobbiamo cavarcela con i linguaggi che la poesia eredita” (Métamorphiques)
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Luc Bénazet pubblica libri di poesia dal 2009. È autore in particolare di Articolare (Edizioni Noi, 2015), Incidenti (Edizioni Noi, 2018), Rainal! (Eric Pesty redattore, 2019) e La massa forestale (POL, 2022). Intervista a Luc Bénazet in occasione della pubblicazione di Metamorfico pubblicato da POL

Metamorfico è composto da due sezioni rispettivamente intitolate “Io parlo” e “Simpatia verso altri esseri umani, 1&2”. In una struttura regolare scompigliata da elementi che, in alcuni punti, interrompono la costruzione dei frammenti, delle parole, e quindi complicano la lettura, l’accenno ad alcune indicazioni temporali evoca la scrittura di un singolare diario (“un effetto calendario»; «The disruption of i giorni nelle notti”; “un lunedì”). Alcuni dati che punteggiano l’insieme citano il contesto di una malattia, di un corpo sofferente. Questo libro è come un diario?

Quella che è diventata la prima parte, in realtà l’ho scritta giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, e senza voltarmi indietro. Una pagina ogni giorno o giù di lì. Per sei, sette o otto settimane, non lo so molto bene. La vita del corpo, i suoi disturbi, tutti i tipi di eventi che gli sono propri, e che sono anche favolosi, determinano con chiarezza il modo di progettare la pagina nel momento in cui la si scrive. Ma non credo che sia un diario di vita, perché il movimento della scrittura quotidiana è preso in una forma che ci riporta ad un tempo presente diverso dal presente della vita. E non è così per tutti i giornali, anche senza data? Questa non è una domanda che mi sono posto mentre scrivevo questa parte, probabilmente perché prima ero preoccupato dell’aspetto regolare che volevo di queste pagine e anche, semplicemente, perché il taglio della parte sequenza non riproduceva quello del settimane. E poi, la seconda parte è costruita diversamente.

Metamorfico sembra proseguire il lavoro critico attorno ai linguaggi e ai rapporti di dominio, molto presente nei volumi precedenti, in particolare in La massa forestale. Assistiamo ad una dislocazione, ad una mutazione di frammenti e parole, “Se mi identifico con una materia non ancora immaginata con una modificazione profonda dove sono metamorfico”. Il tutto è attraversato da vari elementi che in alcuni punti ostacolano la leggibilità del testo, in particolare nella seconda parte del volume: spostamenti, inversioni di lettere nella parola, piccole unità, parole incollate, parole tagliate, scomposizioni in sillabe, lettere, iscrizioni grafiche di suoni a volte difficili da pronunciare. Che posto occupa la sperimentazione nel lavoro di scrittura?

Sperimentare è tutto ciò che mi interessa della poesia, è l’attività più gioiosa. Dovremmo forse ricordare che le pratiche sperimentali e le posizioni apparentemente d’avanguardia non hanno nulla a che vedere tra loro e che mantenerle confuse è problematico. Pretendere di occupare una posizione d’avanguardia significa sempre cercare di esercitare il potere nel campo culturale, per quanto piccolo possa essere, della poesia. In particolare il potere di prescrivere e quello di proscrivere. L’esperimento può ovviamente mirare a qualcosa di completamente diverso, a cominciare dalla rovina dell’esercizio di qualsiasi autorità. Nel senso che, certo, la parola sperimentata è privata di un’autorità che verrebbe esercitata sugli altri, ma anche nel senso che si priva di un’autorità che la fonderebbe. Senza fondamento, dove potrebbe sorgere? A parte il riferimento a Rabelais, bisogna cavarsela con i linguaggi che la poesia eredita e, per esempio, non riportare in essa tutti coloro che esercitano un potere di dominio. Nel mio caso, queste rotture sono necessarie ed è esplorando le risorse della poesia rude che continuo.

Metamorfico evidenzia sia gli aspetti grafici che quelli fonici della poesia letta e ascoltata. Come possiamo situare questo lavoro rispetto alle pratiche di enunciazione sia orale che scritta? Che collegamenti ci sono con la lettura ad alta voce?

Il lavoro orale è marginale da parte mia. Questi sono innanzitutto i libri che cerco di scrivere, che possano poi dar luogo a letture ad alta voce. Ma prendo in prestito forme orali di poesia, in particolare la parte dell’improvvisazione, per praticarla per iscritto. Se le logiche sembrano separate, da un lato la poesia e la narrazione sottostante e dall’altro l’abbondanza di suoni che spezza l’articolazione del significato, preferisco quando sono uno accanto all’altro, nel luogo in cui sono in conflitto. Scrivo doppiamente, con l’intenzione di dire qualcosa e di progredire, provocando deviazioni, i loro segni si registrano come sviluppi del tema. E poi probabilmente non dovremmo abusare della parola disarticolare. Le operazioni sono spesso più modeste: allungamento, contrazione, aggiunta di una gamba, foratura, rotazione, torsione, ecc. Trovate a Rabelais: morrambouzevesengouzequoquemorguatasacbacguevezinemaffressé. Oppure in Rutebeuf: Bagahi laca bachahé/ Lamac cahi achabahé/ Karrelyos/ … Ma questi materiali costituiscono momenti rari nell’opera. Ciò che vorrei leggere sono parole il cui movimento è portato avanti insieme dalla precisione di un’affermazione e da un’azione che rovina tutto ciò che è stato detto, un movimento portato fino a una sorta di divorzio interno permanente. Con le edizioni della rivista niqui causse stiamo preparando un lavoro collettivo che presenterà alcuni di questi usi, in francese e tradotti da altre lingue.

Nella composizione si notano variazioni formali da una sezione all’altra. Due pagine dalla struttura regolare, che iniziano con questa frase: «Quando parlo e scrivo, ci sono due strade che si dividono», riecheggiano tuttavia la struttura della prima parte del volume. Questa eterogeneità formale, queste “rotture” nella struttura dovrebbero essere legate alle preoccupazioni della scrittura riguardo al ritmo, alle velocità, alle modalità di lettura?

Sì, possiamo parlare di velocità di lettura interne, che sono molteplici. Le accelerazioni e i rallentamenti distorcono il materiale verbale, esso stesso costituito da livelli, da brani non riprodotti allo stesso ritmo. Ad esempio, su una riga, un bordone e sull’altra, momenti irregolari e chiari. Ma le intenzioni non sono previe, non c’è nessun accordo prestabilito.

In questo doppio movimento menzionato prima, che associa “narrazione di fondo” e “uscita”, possiamo parlare di una prospettiva riflessiva del poema, attorno alla ricezione, leggibilità in particolare?

Direi: piuttosto non una prospettiva autoriflessiva. E se provassi a dire qualcosa in poesia, una facoltà riflessiva rivolta al mondo delle realtà aborrite che si stabilirebbe in una sorta di armonia, una sorta di espressione verbale stabile, dove ci si trova a una distanza altrettanto misurata, da se stessi e da il mondo, mi sembra impossibile.

Come funzionano queste diverse attività insieme alla creazione di libri di poesie: traduzione, pubblicazione di riviste, creazione di film di poesia?

Le attività sono simili, ma gli oggetti circolano in modo abbastanza diverso, nello spazio e nel tempo. La micro-etichetta no lagos musique ha pubblicato un cd l’anno scorso, Il Tonso, e poi quest’anno ne troviamo un estratto in una playlist trasmessa dalla stazione radio non commerciale WFMU nel New Jersey. Con Sébastien Laudenbach abbiamo iniziato dieci anni fa una serie di film di poesia, autoprodotti, e sono rimasti ai margini di qualsiasi distribuzione. Ora stiamo iniziando a vederli. Per quanto riguarda le riviste, mi occupo dell’editoria niqui caccesse con Évane Priou e Célie Miloch, presso Éric Pesty Éditeur. La rivista viene stampata presso l’Officina Tipografica e poi inviata come lettera agli abbonati. Da parte mia, ho curato i supplementi della rivista e sto preparando un volume collettivo, di cui ho parlato prima. È in questo quadro che devo tradurre. Ad esempio Patrizia Vicinelli, Senna Hoy, Hannah Weiner, Alexsei Kruchenyk, ma non solo. L’attività editoriale mi sembra abbastanza vicina alla scrittura di libri. Con esso il campo di esplorazione si allarga. È anche un modo per stringere alleanze, nella sincerità, per dare coraggio, e non solo a noi stessi, spero.

Luc Benazet, Metamorficoedizioni P.OL., giugno 2024, 104 pagine, €19.

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