Ginevra: Lisette Oropesa, una voce radiosa al Grand Théâtre

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Arte lirica

Lisette Oropesa, una voce radiosa al Grand Théâtre

Il soprano americano dal tono solare terrà un atteso recital questa domenica a Ginevra. Colloquio.

Inserito oggi alle 19:58

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In breve:
  • Lisette Oropesa si esibirà al Grand Théâtre de Genève dopo dieci anni di assenza.
  • Durante il suo recital eseguirà il repertorio francese e italiano.
  • La sua infanzia è stata segnata dalla passione per il flauto prima che per l’opera.
  • Una sostituzione al Met segnò una svolta nella sua carriera musicale.

Dall’aeroporto di Madrid, dove attende il volo che la porterà a Ginevra, la sua voce ci raggiunge come un raggio di luce. Ci diciamo allora che le sue parole, scandite con tono vivace e allegro al telefono, hanno la stessa intensità solare che l’artista dispiega sul palco. Lisette Oropesa è un soprano all’apice della sua arte: la sua prodigiosa flessibilità, il suo tono chiaro, i suoi acuti sibillini, sono da tempo la gioia degli amanti della musica di tutto il mondo. L’americano di origini cubane dimostrerà senza dubbio tutte queste qualità Gran Teatrodove ritorna dopo un decennio di assenza, per tenere un recital che darà un posto d’onore ai repertori francese e italiano. E non possiamo perderci la serata di una diva straordinariamente naturale.

Dieci anni fa salivi su questo stesso palco insieme a Gilda, in un “Rigoletto” firmato dal regista Robert Carsen. Che ricordi di questa produzione?

Conservo le immagini potenti di una storia tutta immersa nell’universo del circo, posta sotto un tendone dominato dalla figura di un Rigoletto abbagliante e tenebroso allo stesso tempo. Come sempre, Robert Carsen ha trovato un approccio brillante, con idee particolarmente ispirate. Quindi, Ginevra riporta alla mente ottimi ricordi.

Cosa dice il programma del recital riguardo al tuo sviluppo e ai tuoi gusti?

Mi sento molto vicino al repertorio francese e a quello italiano, e questo si evince dall’elenco dei brani in cartellone. Cerco comunque di variare il programma da un recital all’altro, anche per adattarlo ai gusti locali. Per questa tappa di Ginevra inizialmente avevo previsto di cantare solo melodie e canzoni, ma mi è stato chiesto di aggiungere qualche brano, perché ero atteso anche in questo registro. Così mi sono rivolto a “Prendi per me sei libero” da “L’elisir d’amore” di Donizetti e a “Grazie giovani amici” dai “Vespri Siciliani” di Verdi.

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In una stagione lirica, cosa rappresenta per te l’esperienza del recital?

È un momento speciale che ti permette di mostrare tutte le tue qualità, senza poterti nascondere, senza gli alibi che a volte ci tiriamo fuori in una produzione. Qui, nessuna cattiva direzione del regista, nessuna cattiva direzione musicale, siamo nudi e, in effetti, lo vivo come una liberazione perché posso connettermi direttamente con il pubblico.

È sorprendente pensare oggi che sei quasi diventato un flautista invece che un cantante.

Sì, durante la mia infanzia e anche dopo, pensavo solo al flauto. Ricordo che un giorno, quando ero molto piccolo, assistei ad un concerto sinfonico e rimasi affascinato da questo oggetto d’argento lucente che vidi al centro dell’orchestra. Mi sentivo come una Manon che cantava “Ah! Il bellissimo diamante. Anche io sono rimasto conquistato da questo suono che sembra arrivare dalle stelle. Il processo di apprendimento si è svolto rapidamente e sorprendentemente facilmente.

Eppure è stato il canto a prendere il sopravvento. Per quello?

Furono alcuni professori dell’università che frequentavo, a Baton Rouge, in Louisiana, che insistettero molto e finirono per convincermi che dovevo invece dedicarmi al canto. È anche vero che sono sempre stato immerso nell’opera, accanto a una madre anche lei cantante professionista, sorelle che cantano anche loro e nonni altrettanto appassionati di opera. Forse c’è una predisposizione genetica che ha deciso il mio destino artistico.

Un giorno sei chiamato a sostituire con breve preavviso un collega al Met di New York e, all’improvviso, la tua carriera decolla.

Assolutamente! All’epoca avevo aderito a un programma che il Met rivolgeva ai giovani artisti. Sul grande palco il cast stava preparando “Le Nozze di Figaro” e il ruolo piuttosto impegnativo di Susanna era interpretato da una cantante incinta di otto mesi. All’ultimo momento mi è stato chiesto di prendere il suo posto e ho avuto la fortuna di conoscere molto bene il personaggio, sia musicalmente che nei suoi tratti caratteriali. Quindi mi sono trovato nel posto giusto, al momento giusto con il ruolo giusto.

Puoi anche cantare Handel e Verdi, Meyerbeer e Mozart. Come prepari la tua voce per questi salti tra gli stili?

Questi passaggi in realtà avvengono in modo molto naturale. Ho la fortuna di avere una voce leggera, che mi apre ad un repertorio molto ampio e che, allo stesso tempo, non richiede alcuna preparazione particolare. D’altra parte so che ci sono ambiti, come il repertorio tedesco, per i quali non ho alcuna affinità vocale. Non sarò mai wagneriano, per esempio.

E se dovessi scegliere un ruolo che non hai ancora affrontato nella tua carriera, a quale ti rivolgeresti?

Direi quello di Aspasia, nel “Mithridates, re di Ponto”. Una volta mi è capitato di interpretare il ruolo di Ismene, nella stessa commedia. Era Monaco, e c’era anche Patricia Petibon, in un’Aspasia mozzafiato… Ma il mio desiderio si avvererà presto, un teatro mi ha offerto di interpretare questo ruolo e ovviamente ho accettato.

Lisette Oropesa (soprano), Alessandro Praticò (piano), Gran Teatrodel 3 novembre alle 20:00,

Rocco Zaccheo è entrato nella redazione della Tribune de Genève nel 2013; si occupa di musica classica e d’opera e si dedica, di volta in volta, a novità letterarie ed eventi culturali disparati. In precedenza, ha lavorato per nove anni presso il quotidiano Le Temps e ha collaborato con RTS La Première.Maggiori informazioni

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