Boubacar Boris Diop. Scrittore del genocidio tutsi e critico della Françafrique

Boubacar Boris Diop. Scrittore del genocidio tutsi e critico della Françafrique
Descriptive text here
-

Quattro anni dopo il genocidio tutsi in Ruanda del 1994, l’odore dei corpi “rimaneva irrespirabile”, ricorda Boubacar Boris Diop, autore nel 2000 di un imponente romanzo su questa tragedia al quale si avvicina come un feroce critico della politica della Francia in Africa.

“Murambi, the Book of Bones” inizia con una residenza in Ruanda nel 1998 alla quale il giornalista e autore senegalese partecipa insieme a una decina di scrittori africani. Inizialmente riluttante a scrivere sul genocidio, una volta lì rimase affascinato dall’argomento.

Mi vergognavo così tanto di me stesso, della mia ignoranza, ma mi vergognavo anche come essere umano. (…) Ogni giorno abbiamo ucciso 10.000 persone, per 100 giorni

“Mi vergognavo tanto di me stesso, della mia ignoranza, ma mi vergognavo anche come essere umano (…) Ogni giorno uccidevamo 10.000 persone, per 100 giorni”, ricorda, intervistato dall’AFP. “E io, intellettuale, dirigevo un giornale privato in Senegal. Avevo pubblicato romanzi. E non avevo visto niente.”
Nel suo libro uscito due anni dopo, i personaggi sono vittime ma anche carnefici. Si incontrano e raccontano le loro storie prima o dopo il genocidio.

Gli “scarafaggi impareranno presto che non bisogna mai attribuire buone intenzioni al proprio nemico”, sogghigna a metà lavoro un miliziano del regime estremista hutu al potere, prima che migliaia di tutsi vengano sterminati in una chiesa. In totale, da aprile a luglio 1994, morirono più di 800.000 persone.
È rappresentato anche un ufficiale francese, incarnazione di una Francia “complice” del genocidio dei tutsi, secondo Boubacar Boris Diop, incontrato in aprile a Parigi in occasione di una manifestazione sui trent’anni della tragedia.

“È stato (François) Mitterrand a fare la scelta di sostenere i genocidari o di armarli, di sostenerli all’ONU, di essere coinvolto in ogni sorta di imbrogli diplomatici”, critica lo scrittore 77enne. “Una telefonata dall’Eliseo avrebbe potuto, in maggio, in giugno (1994, ndr), salvare centinaia di migliaia di vite”.

Nel 2021, una commissione di ricercatori e storici incaricata da Emmanuel Macron ha concluso che la Francia aveva “responsabilità pesanti e schiaccianti” nel genocidio. Il presidente francese si è poi recato a Kigali per riconoscere queste “responsabilità”.

Nato nel 1946 in Senegal, allora colonia francese, Boubacar Diop, studioso settantenne dall’approccio flessibile, racconta una giovinezza piuttosto mite, trascorsa all’ombra dell'”immensa biblioteca di famiglia” rifornita dal padre “molto francofilo”. L’indipendenza del Senegal non sconvolge la sua vita quotidiana.

Nella “prima sequenza della (sua) vita”, Boubacar Diop indica che “amava moltissimo la lingua francese”. “Ho usato frasi lunghe, come Lamartine (…) Mentre eravamo a Dakar, leggevamo Le Nouvel Observateur ogni settimana.

Fan di Sartre, i suoi amici gli hanno dato il soprannome di “Boris”, in omaggio a un personaggio del filosofo francese, che sarebbe diventato il suo “pseudonimo”, spiega.
Il senegalese, che legge “i grandi classici, Marx, Lenin, Engels”, si interessa poi all’America Latina, è “antimperialista e antineocolonialista”, ma senza “pensare agli stessi francesi”. “Era puramente teorico”, confida.

Ma “c’è la mia vita prima e la mia vita dopo il Ruanda”.

Perché se “la Francia ha commesso molti crimini per mantenersi in Africa”, accusa Boubacar Boris Diop, citando gli omicidi in Madagascar (1947), Camerun (anni Cinquanta e Sessanta) e la guerra d’Algeria, “il Ruanda m” ha insegnato che l’antimperialismo, in il nostro tempo, dovrebbe essere diretto contro la Françafrique.”
“I bambini ruandesi morti avrebbero potuto essere bambini del Senegal, cioè i miei stessi figli”, lamenta.

A Murambi, dove morirono decine di migliaia di tutsi, il quartier generale francese dell’operazione Turquoise delle Nazioni Unite fece installare dei barbecue, piantare la bandiera francese e allestire campi da basket e da pallavolo sopra le fosse comuni”, dice.

Dopo il Ruanda, lo scrittore cominciò a scrivere sempre più in wolof, la lingua principale del Senegal, piuttosto che in francese. Fonda una casa editrice in wolof. Un giornale online in wolof.
Egli rileva che la Francia, estromessa negli ultimi anni dal Mali, dal Burkina Faso, dal Niger e dalla Repubblica Centrafricana, “non pesa più così tanto in Africa”, anche se, secondo lui, fa fatica ad accettarlo.
“La Françafrique è questo fenomeno politico che ogni nuovo inquilino dell’Eliseo dice che è finito e poi continua”, scherza, aggiungendo che gli africani “sbaglierebbero a cantare vittoria”.

Recentemente a Parigi, l’ambasciatore ruandese François Nkulikiyimfura, intervistato dall’AFP, ha descritto Boubacar Boris Diop come “uno scrittore importante per l’Africa e per il Ruanda”, che con “Murambi, il libro delle ossa”, ha portato la sua “pietra nell’edificio globale”. del riconoscimento del genocidio dei tutsi.

Il premio Nobel Toni Morrison ha descritto quest’opera come “potente, terribile e bella”. “È un miracolo”, il che conferma che “solo l’arte può tentare di restituire il significato”, ha giudicato.

-

NEXT Potresti fare una crociera con Guylaine Tremblay e Marie-Claude Barrette