Bruno Barbey, fotografo di lunga data

Bruno Barbey, fotografo di lunga data
Bruno Barbey, fotografo di lunga data
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Bruno Barbey Il Drago si risveglia di Jean Loh

Secondo i cinesi che Bruno Barbey fotografava spesso, l’anno del Drago è iniziato il 10 febbraio 2024 e il defunto Bruno Barbey, che Carole Nagar chiamava un “viaggiatore dello spazio-tempo”, ci ha lasciato tre anni e mezzo fa già per metà, il più umanista tra i fotografi di colore targati Magnum, è nato nell’anno del Serpente, che i cinesi chiamano “piccolo drago”. Quest’anno il “draghetto” si sveglia, infatti Bruno esordisce con una bellissima retrospettiva al Museo Nazionale di Varsavia, in contemporanea con una mostra di Pablo Picasso del 1ehm Dal dicembre 2023 al 3 marzo 2024, la mostra di Bruno ha ricevuto trentottomila visitatori, un’affluenza più che onorevole per un evento dedicato alla fotografia in Polonia. Intitolata “Bruno Barbey, Always on the move”, la retrospettiva corrisponde perfettamente alla carriera e al temperamento di Bruno. I visitatori in Polonia hanno potuto osservare l’occhio sensibile e giusto di Bruno Barbey attraverso cinque continenti: dal Bangladesh al Brasile, dalla Cina all’Egitto, dall’Iraq all’Iran e al Kurdistan, alla Turchia, al Giappone e alla Corea, in Kuwait e Marocco, in Cile e Messico, in Nigeria e Senegal, dal Vietnam alla Birmania, senza dimenticare – la più importante per i polacchi: la toccante documentazione sulla realtà della Polonia ai tempi di Solidarnosc e sull’Ucraina e la Moldavia all’ombra dell’URSS. Non possiamo dimenticare il suo maggio 68 in cui scattò alcune foto a colori poco conosciute (come il cortile della Sorbona occupato dai manifestanti maoisti con la statua di Pasteur invasa da bandiere rosse e colorata con le effigi di Marx-Engels-Lenin-Stalin e Mao …). Ricordiamo i suoi italiani degli anni del cinema neorealista che Bruno fotografò mentre era ancora alla scuola di design di Vevey e che furono oggetto di una mostra omaggio al Pavillon Comtesse di Caen dell’Accademia di Belle Arti dove occupò uno dei le sedie riservate ai fotografi. Se si dovesse citare l’elenco completo sarebbe necessario esporre tutti i passaporti utilizzati da Bruno, questo instancabile giramondo “Sempre in movimento”.

Il co-curatore della mostra al Museo Nazionale di Varsavia non si sbagliava: (Bruno Barbey) “si ispira alla storia della pittura ed esprime ripetutamente la sua ammirazione per Henri Matisse. In modo altrettanto pittorico, costruisce composizioni accattivanti, che ancora oggi stupiscono con la loro potenza visiva. Da una prospettiva storica, è molto significativo che Barbey abbia sfruttato il potere del colore nella fotografia di reportage, anche se si trattava di un campo in cui una tavolozza di colori ampia e vivida era stata a lungo trattata con una certa riservatezza. Barbey non si è concentrato esclusivamente sulla spettacolarità degli eventi – che dopotutto perdono presto la loro importanza – ma soprattutto sulla qualità visiva senza tempo dell’immagine. Il suo stile si compone quindi di sfumature intense e accostamenti cromatici sofisticati. » Questo riconoscimento in Polonia è particolarmente significativo perché è stato con la moglie documentarista Caroline Thiénot, che stava girando un film per Antenne 2 intitolato “Le Pouvoir et la Croix”, che hanno viaggiato per la Polonia in camper per otto mesi durante un periodo di due anni.

In questa primavera dal tempo perturbato, Caroline e Bruno ci regalano una nuova opportunità di ammirare le sue foto, questa volta in grandi stampe, alla Galleria Baudoin Lebon nel Marais, dal 3 aprile al 26 maggio. Oltre alle sue famose foto impressioniste del Marocco, suo paese natale, rimarremo colpiti dalla sua foto della Moschea Shah dell’Iran con le sue pareti verticali in mosaico blu e i mullah in nero seduti in cerchio nella parte inferiore dell’immagine. . Bruno era particolarmente orgoglioso di aver fotografato lo Scià (nel 1971-1974-1976) e l’Ayatollah Khomeini a Neauphle-Le-Château (1978) in un contrasto sorprendente: vediamo lo Scià da un angolo basso su una passerella prima di salire sul suo aereo , in piedi “dritto nei suoi stivali” in un impeccabile tre pezzi, arrogante e prepotente con un soldato d’alto rango in uniforme che gli baciava la mano, indossava una brutta cravatta nouveau riche che stonava con il suo bellissimo abito confezionato su misura da Savile Sarti di fila. Dall’altro lato l’Ayatollah era raffigurato seduto su una coperta senza nome drappeggiata nella sua veste nera, mentre alzava gli occhi penetranti sotto le folte sopracciglia verso l’obiettivo di Bruno che doveva torreggiare su di lui dall’alto della sua altezza di un metro e novanta. Al posto del mosaico blu, Khomeini era affiancato da un muro di carta da parati blu con enormi fiori di crisantemo, il tipo di carta da parati tipica delle case suburbane parigine degli anni Settanta. La terribile ironia di Bruno era questa inquadratura di una fila di poltrone vuote recanti il ​​sigillo imperiale che attendevano i dignitari nel deserto di Persepoli per le stravaganze dello Scià che decise di celebrare il duemilacinquecentesimo anniversario dell’Impero Persiano. Ciò che distingueva Bruno dagli altri reporter fotografi dell’epoca era la sua compassione per i curdi, arrivò addirittura a realizzare il ritratto del figlio di Barzani circondato da Peshmerga armati (1974) ma soprattutto seguì i Peshmerga nella discesa verso il lago Dukan nel Kurdistan iracheno e i profughi curdi riuniti in Turchia, di cui vediamo una ragazzina curda dai capelli biondi che si scaldava il piede nudo attorno a un falò su una collina devastata dalla guerra, era seduta accanto ad altre due ragazzine dai capelli disordinati ma altrettanto bionde, è questo tipo di foto che ci fa porre la domanda “che ne è stato di loro oggi”, cinquant’anni dopo?

Nella galleria Baudoin Lebon ci piacciono particolarmente due foto uniche della Polonia, una urbana, l’altra rurale. Il primo è un quasi dittico con da un lato questo anacronistico monumento alla gloria dell’Armata Rossa eretto nel centro della città di Praga. E d’altra parte, un finestrino in fondo a un tram attraverso il quale un polacco cinquantenne fissava Bruno con sguardo pensoso e nostalgico, teneva in mano un sacchetto di carta bianca, un tram fatiscente con i finestrini sporchi davanti alla vernice scrostata c’era la Polonia del 1981, che si avvicinerà alla svolta verso la modernità e la democrazia con il movimento Solidarnosc e la fine del Patto di Varsavia e il giogo dell’Armata Rossa. Era una foto cara al cuore di Bruno Barbey, un’immagine ricca di informazioni e narrativa e con un’attenta composizione. La foto rurale è questa bellissima immagine di una contadina polacca seguita da uno stuolo di anatre bianche davanti a due capanne dal tetto di paglia decorate con dipinti contadini che Bruno chiamava “Arte popolare a Zalipie”, su uno dei due affreschi murali possiamo vedere il sagome di due anatre in volo, un pavone e un gallo, in bianco su sfondo nero, una sorta di arte rupestre come a Lascaux, ma Bruno voleva far risuonare questi disegni ingenui con le vivacissime anatre che seguivano in fila la contadina come se volessero avvicinarsi il più possibile ai loro coetanei in pittura…

Le stampe di grandi dimensioni sono l’occasione per riconoscere l’occhio di Barbey per composizioni degne dei più bei dipinti dei maestri, come questa scena della “Pesca collettiva sul Niger” dove le reti e le picche formavano un concerto di gagliardetti e lance degno di battaglie medievali. La manifestazione degli studenti giapponesi del 1971 contro il nuovo aeroporto Narita di Tokyo e contro la guerra del Vietnam divenne per Bruno l’occasione per comporre un dipinto straordinario, separando gli studenti con l’elmetto a sinistra ma con elmetti di colore diverso rosso per la sinistra verde per gli ecologisti e bianco per i conservatori, e a destra, le file dei carabinieri in nero, mentre il campo studentesco puntava lunghe lance di bambù e i poliziotti dall’elmetto nero resistevano con grandi scudi antisommossa, formando una vera e propria battaglia degna del celebre dipinto di Paolo Uccello ” la battaglia di San Romano” del 1456, i cui tre pannelli sono oggi sparsi uno alla National Gallery di Londra, gli altri agli Uffici di Firenze e al Louvres di Parigi.

Infine, un’ultima parola personale su Bruno Barbey: prima di partire per il paradiso dei fotografi, Bruno, di ritorno dalla Turchia, mi ha chiamato per parlare della sua mostra al Museo Nazionale Cinese di Pechino e per pranzare insieme. Sapevo che voleva tornare nel Sichuan, dove a Chengdu era appena stato aperto un nuovo museo della fotografia, per continuare il suo lavoro del 1980, un documentario a colori senza precedenti sulla campagna cinese. Da Baudoin Lebon possiamo ammirare la foto di Bruno che è metafora del suo passaggio dal bianco e nero al colore, intitolata “nel giardino del mandarino Yu, Shanghai 1980”. Infatti, durante il suo secondo viaggio in Cina (il primo fu nel 1973 durante la visita di stato del presidente Pompidou in Cina), si fermò in questo famoso Giardino Mandarin Yu, che fu costruito nel 1577 non da un mandarino di nome YU ma da un governatore del Sichuan di nome PAN , in omaggio a suo padre che fu ministro dell’Imperatore durante la dinastia Ming. In questo giardino composto da più padiglioni erano presenti delle aperture a forma di cancelli lunari, tra cui questa apertura dall’insolita forma di mezzaluna verticale attraverso la quale una donna di Shanghai ha posato vistosamente per un fotografo professionista con in mano una Rolleiflex. Come spesso con Bruno abbiamo qui una sorta di dittico, nella parte a sinistra abbiamo un fotografo e due curiosi guardoni in ombre cinesi davanti ad un muro bianco e nella parte a destra abbiamo un’elegante signora in giallo giacca di lana con un paio di pantaloni neri e scarpe nere e calzini bianchi, affiancava con orgoglio la sua borsa rossa appesa al gomito destro. Questo giallo e rosso evocano proprio i colori Pantone del logo Kodak, sì, la pellicola preferita da Bruno era Kodachrome in quegli anni fino al suo passaggio alla fotografia digitale. Questa foto è servita come copertina per il libro “China” in versione francese delle Editions du Pacifique nel 2014, che può essere trovato su una doppia pagina all’interno del grande Coffee Table Book “the Color of China” delle Editions Post Wave nel 2019.

Jean Lohaprile 2024

Bruno Barbey, fotografo di lunga data
Fino al 26 maggio 2024
Galleria Baudouin Lebon
21 Rue Chapon
75003 Parigi, Francia
www.baudoin-lebon.com

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