Il sottosuolo dell’Afghanistan, una mucca da mungere per i talebani?

Il sottosuolo dell’Afghanistan, una mucca da mungere per i talebani?
Il sottosuolo dell’Afghanistan, una mucca da mungere per i talebani?
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Dal loro ritorno al potere nel 2021, i talebani non hanno dimenticato di interessarsi al potenziale minerario del paese. Hanno concluso più di 200 accordi per un valore di diversi miliardi di dollari, secondo uno studio reso pubblico dall’ Financial Times.

Dal loro ritorno al potere, i talebani hanno firmato in media un contratto a settimana, secondo un sondaggio condotto dall’ Financial Times e il Centro per la resilienza delle informazioniun gruppo di lavoro con sede nel Regno Unito che ha analizzato i dati del Ministero afghano delle Miniere e del Petrolio, da agosto 2021 a febbraio 2024.

Ad oggi i pochi piccoli giacimenti sfruttati si trovano soprattutto nella provincia orientale di Nangarhar e non è un caso: il terreno è ricco di cromite, utilizzata per le leghe, di talco e di nefrite, la varietà di giada meno pregiata. Questi minerali hanno il vantaggio di trovarsi in giacimenti superficiali, che possono essere sfruttati in modo tecnicamente molto semplice, senza investimenti straordinari, spiega Patrice Christmann, professore onorario all’University College di Londra ed ex vicedirettore della ricerca e della strategia della BRGM (Ufficio di ricerca geologica e mineraria). Tali operazioni forniscono anche minerali che possono essere commercializzati allo stato grezzo, senza alcun trattamento diverso dalla cernita manuale.

Investitori afgani, cinesi, iraniani e perfino turchi

Lo scorso agosto le autorità hanno annunciato la conclusione di una quindicina di altri contratti più grandi, questa volta relativi principalmente a giacimenti di ferro. Stiamo parlando di un minerale il cui contenuto di ferro è paragonabile agli ottimi minerali di ferro australiani, ovvero il 62% di Fe (ferro). Tra i beneficiari troviamo afghani, ma anche cinesi, iraniani e turchi. Ma nessun investitore di fama internazionale.

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Con questi nuovi contratti le autorità sperano di rispondere alle immense difficoltà finanziarie del Paese. Ma se il potenziale minerario è considerevole, la parte della risorsa tecnicamente sfruttabile ed economicamente redditizia è molto più vaga. L’ultimo inventario dettagliato del patrimonio minerario dell’Afghanistan, pubblicato dall’USGS (American Geological Survey), risale al 2011 e si basa in gran parte su una raccolta di dati sovietici. Si tratta quindi di ben poco basati su indagini, le uniche in grado di consentire una corretta stima del potenziale economico.

Investimenti americani per 17 anni

Affinché il settore minerario diventi la spina dorsale dell’economia afghana, lo sfruttamento dovrebbe cambiare scala e allontanarsi dalle attuali pratiche artigianali e semi-industriali. Ma questo implica lo sviluppo di competenze umane, tecnologie complesse e miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture (energia, acqua, trasporti), che nessuno sembra per il momento impegnato a fare.

Il governo americano riconosce di aver speso 962 milioni di dollari per condurre studi geologici, campagne di esplorazione e, più in generale, sostenere il settore tra il 2004 e il 2021, senza progressi degni di nota. Tra i freni elencati in una relazione di audit effettuata dalle autorità americanedatato 2023, includono, tra le altre cose, l’incapacità dell’Afghanistan di riformare la propria politica mineraria, la corruzione, il peso del settore artigianale e la mancanza di infrastrutture.

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