La decenza ordinaria al servizio della leadership etica?

La decenza ordinaria al servizio della leadership etica?
La decenza ordinaria al servizio della leadership etica?
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Durante l’assemblea generale di Stellantis del 16 aprile, il voto a favore di un compenso per l’amministratore delegato Carlos Tavares fino a 36,5 milioni di euro nel 2023, ha suscitato l’indignazione di molti stakeholder, che sono stati definiti “indecenti”.

L’indecenza, termine oggi onnipresente nei dibattiti riguardanti i comportamenti dei leader economici, sembra meritare un tentativo di definizione che, allo stato attuale, resta vaga e incerta. Tuttavia, questa parola ci sembra aprire importanti prospettive e piste di riflessione, in particolare in relazione alla “comune decenza” orwelliana che promuove un’etica delle virtù (ordinarie), nel tentativo di rispondere all’attuale crisi di leadership.

Per questo è necessaria una deviazione attraverso il pensiero di George Orwell. L’autore di 1984 infatti ha affermato questo:

“Ciò che mi spaventa… è la loro incapacità di rendersi conto che la società umana ha bisogno come fondamento dei valori della comune decenza, qualunque sia la forma politica o economica che utilizza. »

Sebbene Orwell non abbia mai teorizzato esplicitamente il suo concetto di “decenza comune”, lo usò così spesso ed esplicitamente che divenne una parte centrale della sua eredità intellettuale.

La decenza ordinaria secondo Orwell

Orwell sosteneva che il rispetto per tutti, compresi i più svantaggiati tra la “gente comune”, è il fondamento di un comportamento dignitoso e implica la riduzione delle disuguaglianze più scioccanti. Voleva anche evidenziare la distanza delle élite dalla realtà della “gente semplice” con il corollario di dimenticare la decenza ordinaria. La “decenza comune” può quindi essere interpretata come la capacità di distinguere tra il bene e il male, una forma di accuratezza morale, come sviluppa Bruce Boût nel suo saggio On Ordinary Decency. Comprende qualità come la giustizia, l’umanità, l’umiltà e il sostegno reciproco. E tenta di dare una risposta coraggiosa a quella che a volte deve essere definita la volgarità di certe élite.

All’inizio del suo lavoro, George Orwell credeva anche che solo la classe operaia fosse capace di comune decenza. Col tempo, ha esteso il concetto ai dipendenti ma non ai privilegiati il ​​cui stile di vita, la disconnessione dalla realtà delle condizioni di vita dei più modesti e il “potere” che hanno nelle loro mani hanno reso impossibile la conservazione di questa decenza acquisita. attraverso l’esperienza. Diversi autori hanno successivamente riassunto la decenza come l’assenza di umiliazione. Questo è, ad esempio, il caso di Avishai Margalit (La società decente, 1999) che definisce una società dignitosa come quella le cui istituzioni non umiliano le persone. Anche il filosofo Bruce Boût, che studiò l’autore inglese, spiega che “ciò che non umilia l’individuo” è dignitoso.

Infine, notiamo che se il rispetto per gli altri è una nozione centrale decenza comune, non si limita alla non umiliazione. La decenza comune vuole essere più ampia e si riferisce anche ad altre virtù come la giustizia, l’uguaglianza, l’umanità e la solidarietà. La decenza comune valorizza le virtù che ci permettono di rispettare gli altri abbastanza da farli non sentire umiliati, ma giustamente considerati.

Indecenza contemporanea

Infatti, esaminando il modo in cui viene percepita l’indecenza, vediamo subito che la remunerazione dei dirigenti ritenuta eccessiva è spesso motivo di indignazione. Stipendi esorbitanti, paracadute d’oro, benefici sociali, benefici pensionistici; Questi fatti mettono in rivolta i dipendenti, i sindacati, i giornalisti tanto quanto la società nel suo insieme. Ciò che è scandaloso non è l’importo assoluto, ma il divario vertiginoso con gli stipendi dei dipendenti (spesso 400 volte inferiori). Si pone allora la questione della tanto decantata meritocrazia.

Va premesso che si stanno delineando altre forme di indecenza: si pensi alla FIFA e al suo presidente Gianni Infantino, che ha abbellito la realtà sulle condizioni di lavoro degli operai edili in Qatar durante i preparativi per i Mondiali del 2022, rifiutandosi di risarcire i feriti e le famiglie dei lavoratori deceduti, “intascando miliardi di dollari” secondo Human Rights Watch. Le spiegazioni di Gianni Infantino hanno avuto una risposta unanime sulla stampa francese, accusandolo sia di indecenza che di cinismo.

Le accuse di atti osceni, anche più recenti, rivelano aspetti chiave dell’evoluzione di questa nozione: i potenti sono sempre più denunciati per aver ipotecato il futuro delle generazioni future. L’irresponsabilità di alcuni leader aziendali nei confronti dell’ambiente, le pressioni contro le normative ecologiche a favore dei combustibili fossili, così come il loro stile di vita ad alte emissioni di carbonio, sono tutte prove di indecenza che denunciano osservatori di ogni tipo. Era come se una nuova realtà emotiva sembrasse aver esacerbato il sentimento di ingiustizia sociale e ambientale, trasformando la disuguaglianza in un’esperienza personale e intima. Ed è in questo contesto che ha progressivamente acquisito nuova importanza la nozione di indecenza, riferita al condiviso sentimento di degrado e di negazione della dignità. Perché, il più delle volte, disprezzo, umiliazione e indignazione si intrecciano nella condanna dell’indecenza.

Hybris o leadership indecente

Ampliando l’analisi, possiamo stabilire un legame tra l’indecenza e un altro comportamento ampiamente discusso nei media, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, ilarroganza. Questa patologia dell’ego è stata ampiamente studiata nella ricerca manageriale ed economica, sin dalla pubblicazione nel 1986 del documento di ricerca fondamentale di Richard Roll “L’ipotesi dell’arroganza delle acquisizioni aziendali”, anche se il concetto risale all’antica Grecia. Icaro è uno dei suoi rappresentanti più antichi, vola troppo vicino al sole e dimentica la sua condizione e i suoi limiti umani. L’arroganza è definito da una percezione esagerata di sé, dalla convinzione di essere al di sopra degli altri esseri umani, da una certa distanza dalla realtà, combinati con un’impermeabilità alla critica.


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Tuttavia, l’amministratore delegato indecente è proprio colui che ha un’opinione esagerata dei propri meriti e dei propri diritti, è disconnesso dalla realtà delle persone e può quindi sembrare che dimostri un’assenza di compassione e interesse per gli altri. L’indecenza diventa allora una sorta di manifestazione, un sintomo diarroganza.


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Perché possiamo considerare che la decenza costituisce una condizione di possibilità per una leadership etica. La nozione di decenza implica certamente un’ambizione modesta (e tuttavia, anche modesta, oggi spesso manca). La decenza non rappresenta un livello integrale di eccellenza o una ricerca della perfezione assoluta nella leadership, ma semplicemente l’adozione di comportamenti accettabili e appropriati. Qui non è la “grandiosità della leadership” a prevalere ma piuttosto il riconoscimento della natura vulnerabile della nostra condizione, umana e ambientale. All’attenzione del duca di Chevreuse, in un breve trattato educativo destinato ai giovani prossimi al potere, il filosofo Blaise Pascal non avverte già che “tutti gli slanci, tutta la violenza e tutta la vanità dei grandi vengono dal fatto che non sanno cosa sono”? Questa frase costituisce anche la conclusione del suo 1ehm Discorso sulla condizione dei Grandi_.

Prendere in considerazione la vulnerabilità

Tanto che oggi sembra essenziale che i leader economici, proprio come i politici, diventino più consapevoli di una certa vulnerabilità della condizione umana, e quindi della propria situazione. La virtù dell’umiltà (in risposta alle umiliazioni), non l’umiltà garbata o strategica, quella della falsa modestia, potrebbe aiutarli, per sviluppare il desiderio, al centro di ogni management degno di questo nome, di servire qualcosa, un una causa – o un progetto – più grande di loro.

Ma «la vera umiltà», scrive Bernanos nel Dialogo dei Carmelitani, «è innanzitutto decenza». Questo, soprattutto a partire dal XXIe Questo secolo ci mette di fronte a sfide che richiedono leader dotati di alcune virtù morali: creare o mantenere lo sviluppo economico in un mondo con risorse limitate costituisce una sfida molto diversa da quella a cui siamo stati abituati in un mondo in cui le risorse erano considerate infinite. Il collasso ambientale e le conseguenti crisi sociali richiederanno virtù come la prudenza, la temperanza e il coraggio di dire la verità. Tutte queste virtù saranno necessarie per affrontare le situazioni estreme di leadership che ci attendono. Concludiamo quindi con la prudenza e la temperanza, virtù tanto rare quanto ordinarie. Virtù che rimandano, in definitiva, alla giusta misura, ad un equilibrio ottimale, a quello che gli antichi greci chiamavano il “metron”. La preoccupazione per la giusta proporzione, la cultura del rapporto armonico tra quantità e qualità, insomma tutto il contrarioarroganza.

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