Vigdis Hjorth crea un’opera totalmente magistrale, una durezza di contenuto e forma in simbiosi, per evocare legami familiari estremamente spezzati tra una madre e una figlia che non si parlano da trent’anni.
“Mi avrebbe contattato se la mamma fosse morta. Ha il dovere di farlo, giusto? »
Johanna ha scelto di lasciare il suo matrimonio, la sua famiglia, il suo paese per iniziare una nuova vita negli Stati Uniti dove è diventata una pittrice di successo, si è sposata e ha avuto un figlio. Trent’anni da quando ha parlato con la sua famiglia che odia i suoi dipinti, considerati scioccanti e disonorevoli perché ne sono il soggetto. Ora vedova, all’alba dei sessant’anni, decide di tornare in Norvegia per vivere nella città di sua madre e di sua sorella, essendo suo padre morto senza che lei si recasse al funerale. E ora, un po’ ubriaca, per un impulso irrazionale, chiama sua madre che rifiuta la sua chiamata.
“Ho chiamato la mamma per incontrarla di nuovo? Per scoprire chi è adesso? Parlare con mia madre come se non fosse mia madre ma una persona comune, una donna incontrata per caso alla stazione dei treni. »
La narrazione in prima persona è immediatamente coinvolgente. Le frasi brevi, la scrittura discontinua con sintassi spezzata e punteggiatura talvolta errata, immergono il lettore nell’urgenza di Johanna, nel suo soffocamento, nel suo stupore nel vedere fino a che punto sua madre l’abbia cancellata dalla sua vita. Condividiamo il suo dolore, il suo tormento di fronte a questa situazione innaturale con una violenza quasi tabù. Come può questa madre vivere senza disperarsi per la perdita della figlia?
La struttura narrativa circolare rafforza il sentimento di follia quasi ossessiva che attanaglia Johanna. Vede sua madre ovunque per strada ogni volta che vede una donna anziana che cammina per strada. La segue, la rintraccia, la spia, si chiede se è cambiata, cosa prova, cerca di far rivivere vecchi ricordi sulla madre e sulle sue abitudini, si sofferma e immagina la sua quotidianità: «Mamma, io ti ricreo con le parole»
La lettura è allo stesso tempo accattivante e dolorosa Vigdis Hjorth fa luce in ogni angolo di questa relazione familiare disfunzionale. Il lettore vuole visceralmente capire cosa sia successo per arrivare fin lì, si sorprende pensando anche al posto della madre, portato a pensare lontano, interrogandosi sulla misteriosa opacità che non potrà mai penetrare del tutto nell’intimità di un essere.
È raro leggere un romanzo che esamina con tanta precisione e forza le cicatrici che dividono le famiglie così come la difficoltà di costruire un ponte tra passato e presente quando l’infanzia è stata ferita e i legami familiari irrimediabilmente danneggiati. Inoltre mette giustamente in discussione il rapporto dell’opera d’arte con la realtà e la verità, essendo Johanna un’artista che sceglie come fonte principale l’esperienza familiare e le persone che ha incontrato.
È difficile lasciare il campo di battaglia per Johanna. A sessant’anni sei ancora figlio di tua madre. La storia, già travolgente, si intensifica man mano che il confronto madre/figlia sembra imminente, senza che sappiamo se avrà luogo o in quali condizioni.
Marie-Laure Kirzy