Il suo nome, negli ultimi decenni, è stato invariabilmente associato alle pagine “popolari” delle riviste. Jocelyne Wildenstein, soprannominata la “donna gatto” o la “pantera” a causa dei suoi molteplici interventi di chirurgia estetica, è morta a Parigi il 31 dicembre, all’età di 79 anni. Ma il cognome di questa figura, tanto essenziale quanto strana, del jet-set è anche associato a una delle più scandalose frodi fiscali francesi. “La più sofisticata e la più longeva della Quinta Repubblica”, come ha detto il pubblico ministero durante i suoi requisizioni. Una truffa multigenerazionale destinata a nascondere al fisco il colossale patrimonio – più di un miliardo di dollari – della famiglia Wildenstein, dinastia di mercanti d’arte.
Jocelyne Wildenstein, nata Perisset, è stata la prima a discutere pubblicamente i segreti di questo clan, tanto discreto quanto potente. Siamo alla fine degli anni ’90 Questa donna svizzera è sposata con Alec Wildenstein dal 1978. In questa fase dell’articolo è necessario un piccolo albero genealogico. Alec e suo fratello Guy sono i figli di Daniel Wildenstein. Dalla fine del XIX secolo questa famiglia si è affermata nel campo delle vendite d’arte, prima in Francia, poi negli Stati Uniti dove emigrò poco prima della seconda guerra mondiale.
La moglie tradita che amava la stampa
Alec Wildenstein lavora al fianco di suo padre, allevando purosangue. Sua moglie è una persona mondana che spende milioni in interventi di chirurgia estetica. Le sue trasformazioni affascinano tanto quanto risaltano nell’alta società newyorkese. Questo per quanto riguarda le apparenze. In privato, la coppia è divisa. Un giorno Jocelyne Wildenstein ritrova il marito nel letto coniugale con una donna molto giovane. Minaccia di spararle. Viene avviata una procedura di divorzio che però si trasforma in un regolamento di conti pubblico. La moglie ingannata si diffonde sulla stampa. Sulle scappatelle del marito ma anche sul ventre molle del clan. Menziona il possesso di dipinti di Vermeer, Fragonard o Rembrandt, giura che i trasporti “Ws” lavorano con il loro jet privato sotto il naso della dogana, assicura addirittura che avrebbero commerciato con i nazisti durante l’occupazione.
È impossibile verificare le sue affermazioni ma una cosa è certa: il patrimonio dei Wildenstein è molto più grande di quanto lasciano intendere. Possiedono migliaia di opere valutate almeno un miliardo di dollari, una scuderia di cavalli da corsa a Chantilly, un castello a Essonne, una villa nell’Upper East Side – il quartiere più esclusivo di New York – un isolotto delle Isole Vergini o un gigantesco ranch in Kenya circondato da 30.000 ettari di savana che ha fatto da cornice al film Fuori dall’Africa. Per non parlare di uno yacht così grande da non entrare nella maggior parte dei porti o del famoso jet privato citato da Jocelyne Wildenstein.
La vedova ingannata che rifiutava di lasciarsi ingannare
Il divorzio fu finalmente finalizzato nel 1998. Jocelyne Wildenstein ottenne una pensione confortevole e il diritto di mantenere il suo nome. La reputazione del clan subì un duro colpo anche se il patriarca Daniel cercò di spegnere l’incendio giurando che mai e poi mai vi era stata la minima collaborazione con il regime di Hitler. Ma l’“affare” Wildenstein prese una svolta legale qualche anno dopo, a causa di un’altra donna, Sylvia, la seconda moglie di Daniel. Quest’ultimo morì nel 2001 di cancro. I suoi due figli, Alec e Guy, hanno poi fatto credere alla suocera che il padre era rovinato a causa di un aggiustamento fiscale. La convincono a rinunciare alla sua eredità in cambio di una rendita annuale.
Sylvia Wildenstein finisce per avere dei dubbi. Nel 2005, ha affidato Mondo che tutto ebbe inizio quando si rese conto che quattro cavalli erano stati acquistati a sua insaputa dai suoi due figliastri nonostante il loro padre – suo marito quindi – fosse in coma. Aiutata dal suo avvocato, la vedova scopre che il marito non è mai stato rovinato: quasi tutti i suoi beni erano nascosti in società di comodo – trust – domiciliate in paradisi fiscali. Nel 2009 è stata aperta un’indagine. Alec è morto l’anno precedente e Sylvia l’anno successivo, ma ciò non impedisce alla giustizia di cercare di districare le fila di questa frode XXL.
Tre prove con esiti molto diversi
In questo caso comparirà una terza donna – Liouba Wildenstein, la seconda moglie di Alec (mi state seguendo?) – fornendo documenti decisivi ai giudici inquirenti. In contrasto con suo cognato Guy, la vedova rivela in particolare la parte inferiore del Delta Trust che presumibilmente contiene capolavori per un valore di circa un miliardo di dollari. Ma le sue rivelazioni le si rivolteranno contro e finirà per essere incriminata. Nel 2017, all’apertura del processo, il fisco pretese al clan circa 556 milioni di euro. Tuttavia, con sorpresa di tutti, gli imputati furono assolti.
La Corte riconosce che “da almeno tre generazioni i membri della famiglia Wildenstein si sono preoccupati di nascondere dietro costruzioni giuridiche sconosciute al diritto francese un patrimonio considerevole che sfugge quindi in gran parte alle tasse”, ma la legge antitrust risale solo al 2011. quindi nessuna legislazione specifica. La decisione viene confermata in appello.
Ma nel 2021, il colpo di scena: la Corte di Cassazione annulla questa decisione e un terzo processo si apre nell’autunno del 2023. Il suo epilogo è diametralmente opposto. Nel marzo 2024 Guy Wildenstein è stato condannato a quattro anni di reclusione, due dei quali sospesi, oltre a una multa di un milione di euro e arretrati fiscali da pagare. Alec Junior – il figlio di Alec e Jocelyne Wildenstein – ha ricevuto una pena sospesa di due anni. Sono stati condannati anche due dei loro avvocati, due gestori patrimoniali e un notaio. Per quanto riguarda Liouba, ha ricevuto una pena sospesa di tre mesi. La corte d’appello ha respinto alcuni trust ma li ha ritenuti colpevoli di aver nascosto patrimoni considerevoli. La storia non dice se Jocelyne Wildenstein seguì i ritardi di questa vicenda straordinaria.