Nel 1994, dopo una breve carriera non decollata come attore, Alessandro Simmons vide la propria carriera da scrittore alzarsi da terra, indirizzandosi verso quella che sarebbe poi diventata la propria occupazione principale di lì a poco, ossia la scrittura di libri per bambini. Simmons, in quell’anno, si preoccupò di realizzare Il Re Leone: sei nuove avventureun libro illustrato che non solo approfondiva la storia di Scar e Mufasa, ma che introduceva per la prima volta il personaggio di Kopa, figlio di Simba e Nala.
Del giovane principe si persero totalmente le tracce nel canone che poi Disney ha imposto con Il Re Leone IInel quale Simba e Nala danno alla luce Kion e Kiara: lo stesso storyboard director del sequel, Phil Weinstein, in un’intervista dichiarò di essere totalmente all’oscuro dell’esistenza di Kopa durante la produzione del film. Sintomo del fatto che, per quanto Simmons abbia provato a creare una lore intorno alla famiglia della Rupe dei Re, il suo lavoro è stato brasato a più riprese. Così come, d’altronde, accade in Mufasa: Il Re Leone.
Storia di due fratelli: la storia di Mufasa
Simmons inizia a delineare un albero genealogico della famiglia di Simba in Una storia di due fratelliil primo libro delle Nuove sei avventuree lo fa partendo da Una promessail padre di Mufasa e di Taka (il futuro Scar). Del nonno di Simba si parlerà soltanto altre due volte in quello che poi è diventato il canone Disney: una volta ne Il Re Leone e un’altra volta in un ulteriore libro ispirato al franchise, ma in entrambe le occasioni senza mai citarne il nome. Simmons presenta, così, per la prima volta il padre di Mufasa: già re della Rupe, il leone sin da subito mostra una predilezione per il figlio maggiore, Mufasa, a discapito del minore, Taka.
Una dicotomia che persiste nel tempo e negli anni, fino a condurre Ahadi a dover fronteggiare un momento di grave siccità sulle Terre del Branco e a un pellegrinaggio in cerca di nuove fortune: l’occasione non solo si prestò all’incontro fortuito con Un amicodestinato a diventare fedele consigliere del regno, ma anche per creare la definitiva spaccatura tra i due figli. Simmons descrive una situazione al limite del banale, un capriccio degno di quello che sarebbe poi diventato un leone burbero e rancoroso, che da giovanissimo finì per lamentarsi dei doveri regali del padre, chiamato ad ammaestrare le iene e a infrangere la promessa fatta a Taka di portarlo con sé a caccia.
Tra la rabbia e il rancore per questa situazione, deciso ad andare a caccia da solo e trascinando Mufasa con sé, l’assalto a una mandria di bufali non finì nel miglior modo possibile, anzi: Ahadi venne chiamato da Zazu per soccorrere i due leoni, dei quali Taka rimase ferito e fu costretto alle cura di Rafiki. Con la maggior parte delle ferite gestite, al leone rimase solo una profonda cicatrice sull’occhio. Un segno, come confermato da suo padre Ahadi, che gli avrebbe permesso, nel tempo, di ricordarsi della sua incuria, del suo atteggiamento errato e soprattutto dell’incapacità di gestire le proprie reazioni e responsabilità. Una cicatrice che lo avrebbe segnato per sempre, conducendolo al nome di Scar.
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The Lion Guard, come cambia il Re
Esiste un’altra versione riguardante la cicatrice di Scar, però, ed è raccontata nella serie The Lion Guard, nella quale viene spiegato come il secondogenito di Ahadi (anche qui mai nominato) sarebbe stato destinatario della guida di quella che era la guardia del corpo del re, ricevendo in dono il ruggito degli antenati. Un giorno, convinto da un leone selvatico che avrebbe potuto scalzare Mufasa nel ruolo di re e deciso a seguirlo in un percorso tortuoso attraverso le Pride Lands, Scar finì in una trappola che lo portò a subire una profonda ferita da parte di un cobra velenoso: ricattato per poter ottenere l’antidoto che l’avrebbe salvato, il leone rispose usando il ruggito degli antichi per avere la meglio tanto sul leone che sul cobra.
Al suo ritorno alle Terre del Branco, vedendolo con la ferita appena procuratosi, Mufasa decise di chiamare il fratello, da quel momento in avanti, col nome di Scar, spingendolo a comprendere che dinanzi a sé non avesse un vero alleato, ma un re da detronizzare a tutti i costi. Di lì a poco Scar perderà anche la facoltà di poter usare il ruggito degli antichi, un potere non destinato per scopi malefici e, pertanto, negato a Scar nel momento in cui deciderà di usarlo nuovamente per avere la meglio su un altro leone rifiutatosi di uccidere per conto suo Mufasa.
Dov’è il canon ne Il Re Leone?
Come nella maggior parte dei franchise Disney è sempre complicato definire cosa possa essere canon e cosa no. La Guardia del Leone ha raccontato molto del passato di Scar, cancellando di fatto quanto era stato scritto da Simmons nel 1994, lo stesso anno in cui Il Re Leone aveva visto la luce al cinema per volontà di Jeffrey Katzenberg. E se non cancellandolo, sicuramente sovrapponendosi. Individuare una verità unica non è facile, ma la nostra certezza plana sicuramente sul fatto che Scar (o Taka) sia sempre stato il fratello minore di Mufasa.
Aspetto che, senza volerci addentrare in eccessivi spoiler, viene completamente cambiato con il film diretto da Barry Jenkins e scritto da Jeff Nathanson. Sappiamo, d’altronde, che quello che diventerà il re delle Terre del Branco è un orfano, strappato dalla propria famiglia giovanissimo e costretto a costruirsi una nuova vita: accanto a lui è confermata la presenza di Taka, quel leone che – se verrà confermata la versione che ci hanno sempre raccontato negli anni precedenti – diventerà Scar. Starà a Nathanson e Jenkins decidere quale sarà la versione dei fatti: il morso di un cobra velenoso, l’assalto di una mandria di bufali, eventualmente una terza possibile strada.
Come Jenkins riscrive la storia
Quello che di sicuro non vedremo prendere piede è la rivalità tra due fratelli di sangue. L’essere orfano di Mufasa gli impedisce di avere un legame di sangue con chi ci è sempre stato presentato come il suo reale fratello. Una scelta atipica, ma che porterebbe a giustificare quella rivalità emergente tra i due, acuendo anche l’ambizione da parte di Taka di poter assurgere al ruolo di re per dinastia e per destino, ma finendo per esserne strappato perché inadeguato rispetto alla grinta e alla prestanza di Mufasa, orfano chiamato al riscatto. Una riscrittura che potrebbe umanizzare il personaggio casto e puro di Mufasa, denotando quelle che sarebbero identificate come normali e concesse storture di un sovrano costretto a farsi da sé, abbandonato dalla guida genitoriale e costretto a farsi spazio in un contesto che lo metterà ben presto dinanzi alle difficoltà della vita.
È evidente che uno dei temi preponderanti della riscrittura di Mufasa in quanto personaggio e in quanto prequel è da ritrovarsi nell’attualità del tema dell’emarginato e dell’immigrato. Il futuro re, d’altronde, nel presentarsi in qualità di orfano non è altro che un superstite che attraversa il periglioso mondo della Tanzania per giungere in un luogo dove gli animali parlano in maniera diversa da lui. Quanto mai indovinata, a tal proposito, è la scelta di far sì che il giovane Taka sia doppiato con un accento british contro quello americano di Mufasa: una spaccatura per sottolineare la differenza che intercorre tra le due diverse stirpi di leoni, chiamati a fondersi per far nascere un legame che non dev’essere per forza di sangue, ma che potrebbe essere ancora più forte.
Mufasa e Taka, d’altronde, si scelgono e non si ritrovano costretti ad affrontare il loro rapporto per costrizione familiare. Questo, maggiormente, potrebbe condurre a una rottura più rumorosa, che inevitabilmente dovrà ricollegarsi con ciò che Jon Favreau ci ha già raccontato nel film del 2019, Il Re Leone, con tutte le complessità del caso.