In fondo, tutto si tiene. Nomen omen, il destino nel nome. Come si fa a non richiamare un ragazzo che si chiama Muratore perché aiuti a costruire la Casa Juve cominciando dalle fondamentacioè dalla Primavera? Muratoredi nome Simoneclasse 1998, cuneese di Saluzzo, che nel vivaio bianconero era entrato a 16 anni, facendo la trafila sino alla prima squadra, allenatore Sarrinella stagione dell’ultimo scudetto, debuttando anche in Lega dei Campioni.
Soprattutto, come si fa a non riabbracciarlo, dicendogli vieni a lavorare con noi, se questo ragazzo ha sconfitto il cancro dopo tre anni durissimicarichi di dolore, di angoscia, ma anche, colmi di resilienza, di coraggio, della voglia di non arrendersi mai a un nemico tanto infido e maledettamente presente nella tua vita. Così, la storia di Simone è una provvidenziale storia di Natale. Lui stesso l’ha raccontata nel modo migliore, ricordando quando è stato costretto a ritirarsi. «Sono passati tre anni da quel giorno. Una notizia arrivata a ciel sereno che ha cambiato la mia vita e quella di chi mi sta attorno. Neurocitoma al ventricolo sinistro. Attimi di pensieri, di domande, di rabbia. Non ho mai versato una lacrima, ho sempre cercato di farmi vedere forte agli occhi degli altri, dal giorno della notizia fino alla notte prima dell’intervento, in camera con mia mamma, la donna più forte che abbia mai conosciuto, quando sono scoppiato a piangere come un bambino, con la paura di non risvegliarmi più o comunque di svegliarmi e non essere più lo stesso di prima. Sono stati giorni, settimane, mesi, anni di sofferenza. Ho dovuto rimparare a parlare bene, camminare, a correre, scrivere, leggere, contare, era come se fossi tornato un bambino e ho dovuto ricominciare tutto da capo, dal giorno zero. Ci sono stati giorni in cui facevo fatica anche ad alzarmi dal letto, nonostante mi sentissi già meglio. Oggi metto un punto alla mia carriera da giocatore, ci ho provato fino alla fine a tornare, ci ho messo lacrime e sudore, ma non ero più come prima, mi sono reso conto che, comunque, avevo la fortuna di essere guarito e di stare bene. Ho avuto la fortuna di giocare con giocatori straordinari, fuoriclasse, dentro al campo, ma, soprattutto, fuori dal campo e questo non me lo toglierà mai nessuno. Sono grato a tutto ciò che ho fatto e ho conquistato dentro quel rettangolo verde, insieme con i miei compagni, diventati poi miei amici. Sono stati anni magnifici: il campo, lo spogliatoio, la passione, sono cose difficili anche da spiegare, se non le provi in prima persona. Ringrazio in primis la mia famiglia per essermi stata accanto sempre. Tommaso, il mio bimbo unico e speciale che mi ha dato la forza per andare avanti, e infine i miei amici. Ringrazio le società Juventus, Atalanta e Tondela per essermi state accanto. Impari a dare importanza alle cose quando sei a un passo da poterle perdere. La vita è un dono meraviglioso».
Impari a dare importanza alle cose quando sei a un passo da poterle perdere: la frase che dice tutto di Simone. Ha scritto Baricco: «Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde». Alla fame di vita del suo ex ha risposto la Juve: l’ha voluto tecnico del settore giovanile, annunciandolo in questi giorni con una rilevanza sintomatica della volontà societaria di firmare un gesto nobilenient’affatto scontato nel calcio fine 2024, che si vuole sempre e solo avviluppato alle logiche del business, dell’algida irriconoscenza, fino all’indifferenza verso chi è uscito di scena o è stato costretto a farlo. Vincere è l’unica cosa che conta? Non è vero e s’impone dirlo in presenza della ragione sociale di bonipertiana memoria. Si vince anche fuori campo, quando apprezzi a tal punto la forza di un Muratore così vigoroso che non puoi farne a meno. Simone ha demolito il cancro, ora ricomincia a ricostruire la propria vita in Casa Juve. La tua casa.