Risposte per il diploma di maturità filosofica – settore generale: spiegazione dell’estratto da “La Condition Ouvrière”, di Simone Weil

Risposte per il diploma di maturità filosofica – settore generale: spiegazione dell’estratto da “La Condition Ouvrière”, di Simone Weil
Risposte per il diploma di maturità filosofica – settore generale: spiegazione dell’estratto da “La Condition Ouvrière”, di Simone Weil
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Testo fornito

“Ogni azione umana richiede un motivo 1 che fornisce l’energia necessaria per realizzarlo, ed è buono o cattivo a seconda che il motivo sia alto o basso. Per assecondare la passività estenuante che la fabbrica esige, bisogna cercare dentro di sé le motivazioni, perché non ci sono fruste, né catene; fruste e catene renderebbero forse più facile la trasformazione. Le condizioni stesse del lavoro impediscono che intervengano altri motivi oltre al timore di rimproveri e licenziamenti, all’avido desiderio di accumulare denaro e, in una certa misura, al gusto dei record di velocità. Tutto concorre a richiamare al pensiero questi motivi e a trasformarli in ossessioni; non si fa mai appello a nulla di più elevato; inoltre, devono diventare ossessivi per essere sufficientemente efficaci. Nello stesso tempo in cui questi motivi occupano l’anima, il pensiero si ritrae in un punto del tempo per evitare la sofferenza, e la coscienza si spegne per quanto lo consentono le necessità del lavoro. Una forza quasi irresistibile, paragonabile alla gravità, ci impedisce poi di sentire la presenza di altri esseri umani che lottano anch’essi nelle vicinanze; è quasi impossibile non diventare indifferenti e brutali come il sistema in cui si è intrappolati; e reciprocamente la brutalità del sistema è riflessa e resa percepibile dai gesti, dagli sguardi, dalle parole di chi ci circonda. Dopo una giornata così trascorsa, l’operaio ha un solo lamento, un lamento che non arriva alle orecchie degli uomini estranei a questa condizione e se lo facesse non direbbe loro nulla; trovò il tempo lungo. »
Simone WeilLe condizioni di lavoro (1940)

Nota : 1. “Motivo”: la motivazione, ciò che ci spinge ad agire.

introduzione

Cosa succede quando lavori in catena di montaggio? Cosa pensa un lavoratore e cosa lo motiva? Sono queste le domande che si pone Simone Weil in questo estratto La condizione lavorativa. La filosofa parla per esperienza poiché – cosa abbastanza rara da sottolinearlo – lei stessa ha scelto di essere assunta di propria iniziativa come operaia in diverse fabbriche per vivere dall’interno, e quindi comprendere meglio, la realtà della vita lavorativa. Senza soffermarsi sulla durezza pratica delle condizioni di lavoro in senso stretto, si sottolinea piuttosto l’impoverimento intellettuale e anche spirituale di una condizione di alienazione che riduce il lavoratore a uno stato inferiore di quasi disumanità. È una vera stupidità all’opera che lei descrive e denuncia allo stesso tempo.

Elementi di spiegazione

Simone Weil interroga il lavoro di fabbrica in ciò che esso ha di specifico rispetto alle altre attività umane: se “ogni azione umana richiede un motivo”, qual è quella del lavoratore? Alcuni infatti lavorano per guadagnare molto denaro, altri per realizzarsi personalmente, altri ancora per stancarsi il meno possibile, ecc., ma che dire nel caso dell’operaio? Il filosofo distingue tre motivi, e tre soltanto: “la paura dei rimproveri e dei licenziamenti, l’avida voglia di accumulare denaro e, in una certa misura, il gusto dei record di velocità”. Sorprendentemente, nessuno di questi tre motivi appare sufficiente a giustificare l’eccesso di energia messa dal lavoratore nello svolgimento del proprio lavoro, il cui inizio del testo sottolineava quanto fosse “estenuante” : i primi due sono certamente legittimi ma presentati in una luce particolarmente infantile dal vocabolario qui utilizzato: non sono forse i bambini che hanno paura “rimproveri” e chi vuole vincere “penny” ? Ciò è ancora più evidente con il terzo motivo, che appare ancora più infantile dei primi due. Questi sono tre motivi che possono essere descritti come ” giù “, per riprendere la distinzione che la prima frase del brano stabilisce tra motivi alti e motivi bassi e il cui principio è richiamato a metà del testo: “Non si fa mai appello a nulla di più elevato”. Il lavoro è davvero a “azione umana”, usare la formula dall’inizio dell’estratto o diventa disumano in tali condizioni?

La domanda infatti resta: perché? Perché accettare di lavorare in queste condizioni? La risposta è data nella seconda metà del testo: i cellulari diventano così ossessivi “il pensiero si ritrae”, Quello “la coscienza se ne va”, che il lavoratore diventa “indifferente e brutale”. La spiegazione avanzata da Weil potrebbe sembrare contraddittoria: in un certo senso il lavoratore deve pensare bene poiché deve concentrarsi sui compiti che deve svolgere. Ma, appunto, questa concentrazione non è un pensiero in senso stretto, poiché il ritmo della catena produttiva costringe a pensare solo a quello, senza possibilità di fuga. Questo modo di assegnare l’operaio alla sua posizione di macchina è una vera e propria alienazione che va contro ciò che è proprio dello spirito umano, cioè la capacità di vagare liberamente dove vuole. È una trappola che lo rinchiude (“il sistema in cui siamo intrappolati”), “una forza quasi irresistibile” o irrefrenabile che lo abbatte, quello che Simone Weil chiama qui il “gravità” e che lei oppone in altri suoi scritti alla forza opposta che lei chiama la ” adornare “.

Il paradosso di questa situazione è che invece di spingere i lavoratori a provare una forma di solidarietà con altri che stanno attraversando il loro stesso inferno, prevale l’indifferenza. Concentrati sul loro compito – soprattutto nell’era del taylorismo e del fordismo – non hanno nemmeno la possibilità di interessarsi a ciò che vivono coloro che li circondano. Quindi non si parlano: ognuno di loro ha un grido, o più precisamente un pianto doloroso ” rimostranza ” che nessuno sente, né i lavoratori né i non lavoratori che secondo Simone Weil non possono capirlo. Chiusi nel loro (non-)pensiero, isolati, la loro vita è ridotta al puro scorrere del tempo che si allunga. Non è solo il significato del lavoro ad essere pervertito nella condizione lavorativa, è la stessa vita umana ad essere distorta.

Conclusione

Sulla scia di La Boétie che ci aveva pensato “servitù volontaria” e Marx con la sua teoria dell’“alienazione”, Simone Weil consegna qui un’analisi toccante della realtà della condizione lavorativa, tanto più terribile perché vissuta e vissuta personalmente dal filosofo. Abbandonando ogni forma di pensiero, i lavoratori non hanno nulla da aspettarsi dal loro lavoro se non l’adempimento dei compiti di una vita stessa ridotta alla sua espressione più semplice.


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Perché lui, perché lei?

Come possiamo spiegare le nostre scelte amorose? Dovremmo fidarci del proverbio “gli uccelli della stessa piuma si affollano insieme”, o dovremmo credere al contrario che “gli opposti si attraggono”? La sociologia di Bourdieu e la filosofia di Jankélévitch ci illuminano.

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