Il Senegal ora deve affrontare la “maledizione” del petrolio

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Dopo diversi anni di ritardi, la società Woodside ha annunciato martedì 11 giugno di aver avviato lo sfruttamento del giacimento offshore di Sangomar, situato al largo di Dakar. Con una produzione giornaliera di 100.000 barili, il Senegal fa ormai parte della ristretta cerchia dei paesi produttori di idrocarburi in Africa. Il Paese prevede inoltre un valore aggiunto annuo di circa 700 miliardi di FCFA, il che dovrebbe essere positivo per la sua economia. Ma resta la “maledizione” del petrolio a cui si aggiunge, nel contesto africano, l’ignoranza del circuito produttivo.

Collegamento ad Abidjan, Bati Abouè

È una giornata storica, ha annunciato il gruppo australiano Woodside Energy che ha accolto, martedì 11 giugno in un comunicato stampa, “il completamento in sicurezza della produzione del primo barile dal giacimento di Sangomar” a 100 km dalla costa di Dakar. Il governo senegalese si è piuttosto astenuto dal rilasciare commenti ufficiali, ma possiamo immaginare l’aria fresca che porterà questa notizia, dal momento che l’entrata in produzione del giacimento petrolifero di Sangomar dovrebbe apportare circa 700 miliardi di FCFA all’anno al bilancio nazionale.

Secondo Thierno Ly, direttore generale di Petrosen Exploration and Production, “l’inizio dell’estrazione dal giacimento di Sangomar segna l’inizio di una nuova era, non solo per l’industria e l’economia del nostro Paese, ma soprattutto per la nostra gente”, mentre il patron dell’azienda australiana, Meg O’Neill, parla di una “giornata storica per il Senegal e per Woodside”. Arriva dopo una lunga attesa, dal momento che la scoperta dei vasti giacimenti di petrolio e gas senegalesi nell’Atlantico risale al 2014. E poiché la felicità non viene mai sola, questa prima estrazione di Sangomar precede l’entrata in produzione, a partire dal terzo trimestre, da Grand Turtle/Ahmeyim (GTA), al confine con la Mauritania. Sviluppato dalla britannica BP con l’americana Kosmos Energy, la Mauritanian Hydrocarbons Company (SMH) e Petrosen, questo progetto dovrebbe produrre circa 2,5 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto all’anno e collocare il Senegal al 5° posto tra i paesi produttori di gas del continente africano in un contesto di crisi russo-ucraina che ha fatto lievitare il prezzo mondiale degli idrocarburi.

Un settore da controllare

La produzione di entrambe le materie prime è destinata all’esportazione e al mercato interno. È, ovviamente, al di sotto dei livelli dei giganti globali e africani, in particolare della Nigeria. Ma le entrate previste dovrebbero aiutare la trasformazione accelerata dell’economia senegalese che ha bisogno di una seconda ventata. Anche il nuovo presidente Bassirou Diomaye Faye non ha nascosto la sua intenzione di controllare il settore minerario, del gas e del petrolio per consentire al suo paese di raccogliere il massimo delle risorse che gli consentiranno di creare i posti di lavoro che i giovani senegalesi cercano. Anche il primo ministro senegalese Ousmane Sonko ha ribadito domenica la volontà di rivedere questi contratti. “Siamo stati noi a promettervi che avremmo rinegoziato i contratti e lo faremo, e abbiamo già iniziato”, ha dichiarato davanti ai giovani del suo partito riuniti a Dakar.

La prima fase produttiva del giacimento petrolifero di Sangomar è costituita da un’unità galleggiante di produzione e stoccaggio. A questo si collegano le infrastrutture sottomarine, progettate in previsione delle successive fasi di sviluppo. In totale, 21 dei 23 pozzi, di cui 11 di produzione, 10 di iniezione di acqua e 2 di iniezione di gas, dovranno entrare in produzione, ha affermato il capo della società australiana.

Clausole leonine

La rinegoziazione degli accordi su gas e petrolio non è mai un compito semplice. In un’intervista rilasciata il 19 marzo all’agenzia di stampa Bloomberg, l’ex presidente Macky Sall ha stimato che i contratti “possono essere migliorati, ma che denunciare i contratti già firmati con le aziende non è possibile. (Inoltre), sarebbe disastroso per il Senegal”, ha insistito. La più notevole delle difficoltà che si opporranno alle nuove autorità senegalesi è che “non esistono clausole esplicite che prevedano la rinegoziazione dei contratti petroliferi” ma, in compenso, esistono “clausole che regolano eventuali controversie”. ha spiegato l’esperto di petrolio Ibrahima Bachir Dramé, citato dall’AFP. Ma secondo Papa Demba Thiam, economista internazionale e specialista dello sviluppo industriale intervistato dall’AFP, la rinegoziazione di questi contratti è del tutto possibile. Secondo lui, “dal 40 al 92% dei contratti vengono (generalmente) rinegoziati in un periodo che va da 1 a 8 anni” dopo la loro firma. E poiché secondo la Costituzione senegalese “le risorse naturali appartengono al popolo e devono avvantaggiarlo”, Papa Demba ritiene che “ci siano tutte le condizioni per giustificare una rinegoziazione di questi contratti”, come auspica il duo esecutivo senegalese.

Ma comunque vada, le risorse petrolifere continuano a beneficiare quasi esclusivamente delle multinazionali occidentali che dispongono delle risorse finanziarie indispensabili per influenzare il contenuto dei contratti. Secondo il mensile Jeune Afrique, il costo di gestione del giacimento di gas senegalese, inizialmente stimato in 3,6 miliardi di dollari, alla fine ha superato i 9 miliardi di dollari. Di fronte ad essi, però, non sempre i Paesi africani dispongono di personale locale qualificato per controllare efficacemente il circuito di produzione di questi preziosi minerali. Quindi in genere è autentica la dichiarazione dell’operatore. A questa realtà bisogna aggiungere anche quella delle amministrazioni africane che fanno sì che la produzione di petrolio o gas, invece di aiutare le popolazioni a uscire dalla routine, arricchisca ostentatamente gli oligarchi locali.

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