Non è una buona giornata per i mercati obbligazionari, nonostante l’ondata di avversione al rischio che ha travolto gli indici azionari europei… forse colpa degli indicatori economici deludenti nella zona euro.
Il Bund tedesco con la stessa scadenza segna +4Pt verso il 2,365% nonostante un crollo del -2,1% del DAX40 e i nostri OAT peggiorano di +6,1Pt verso il 3,140% nonostante il -2,8% del CAC40 (ovvero -200Pt).
Più a sud, i ‘Bonos’ iberici salgono di +6 punti al 3,114%, i BTP italiani salgono di +5,5 punti al 3,647%.
I ‘dati del giorno’ non sono rassicuranti, né sull’inflazione (CPI UE), né sulla crescita futura (ZEW): l’inflazione nell’Eurozona si è attestata al 2% su base annualizzata nel mese di ottobre, dopo +1,7% a settembre e il cupo ‘ZEW’ di -5,7 punti in Germania.
La possibilità che la BCE acceleri il ritmo dei tagli dei tassi a -50 punti non fa più parte dello scenario centrale, date le divergenze di opinione che attualmente sembrano regnare all’interno dell’istituzione.
E sul lato della crescita, in Germania, l’indice ZEW sul morale degli investitori è a mezz’asta, riflettendo l’impatto della crisi politica dovuta alla rottura della coalizione tripartita avvenuta la scorsa settimana.
Nell’indagine di novembre l’indice ZEW è sceso di 5,7 punti rispetto al mese precedente, attestandosi a +7,4.
“Le aspettative economiche per la Germania sono state offuscate dalla vittoria di Donald Trump e dal crollo della coalizione di governo tedesca”, spiega il presidente della ZEW Achim Wambach parlando dei risultati del sondaggio.
Inoltre anche le valutazioni sull’attuale situazione economica in Germania diventano sempre più pessimistiche, il relativo indicatore è sceso di 4,5 punti attestandosi ora a -91,4.
Il tasso di inflazione in Germania – misurato come variazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente – è stato confermato da Destatis al 2% per ottobre 2024, rispetto all’1,6% del mese precedente.
Nessuna cifra negli Stati Uniti, ma l’attrazione esercitata dalle azioni e quindi la fiducia nel sostegno fiscale (meno entrate/più deficit) continuano a pesare sui T-Bond statunitensi.
I ’10 anni’ sono saliti di +9 punti attorno al 4,441% (+2,2%), i ‘2 anni’ di +8,5 punti verso il 4,338% e i ’30 anni’ di quasi +9 punti – cioè +2% – verso 4,566 %, uno zenit (o un “livello peggiore”) dal 3 luglio (che spinge i tassi ipotecari oltre 7,00%).
Il ’10 anno’ ha visto il suo rendimento restringersi di +84 punti da metà settembre (come se la FED si stesse preparando ad aumentare i suoi tassi di 3 volte… e mezzo nel 2025).
Infine, i ‘Gilt’ britannici sono saliti di +14,4 punti al 4,567% e si sono ‘equalizzati’ rispetto ai ‘3 anni’ statunitensi.
Tutto questo sa di zolfo da settimane, e soprattutto da martedì scorso: ragioni di preoccupazione che Wall Street ha scongiurato stabilendo record assoluti da mercoledì 6/11… illustrando la metafora dei mercati che “innalzano” il “muro della paura” ‘ (il muro della preoccupazione).
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