Omicidio di due agenti penitenziari: come non è successo prima?

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Nella Francia di Emmanuel Macron, Gabriel Attal e Éric Dupond-Moretti, la “no wave” purtroppo non riguarda solo l’istruzione nazionale, deplora questo forum.


Una settimana fa, a Eure, a un casello autostradale, un furgone dell’amministrazione penitenziaria che trasportava un detenuto pericoloso è stato attaccato. Tre agenti sono rimasti gravemente feriti, due uccisi. Uno era padre, il secondo lo sarebbe diventato; hanno perso la vita in divisa, per la Repubblica, per la Francia.

È un dato di fatto: le nostre carceri sono zone pericolose dove è più facile per i delinquenti contrabbandare armi, telefoni e droga che per un bambino introdurre di nascosto una bottiglia d’acqua in un concerto.

Avendo lavorato io stesso nell’amministrazione penitenziaria dal 2009 al 2014 (CP les Baumettes-Marseille e Maison Centrale d’Arles), capisco la ferocia a cui questi agenti sono esposti quotidianamente. Lavorano in condizioni di precarietà permanente, che spesso devono affrontare in isolamento, dovendo a volte gestire fino a 150 detenuti. Le aggressioni e le minacce sono numerose, dentro le mura, ma a volte anche fuori quando gli agenti incontrano famiglie di detenuti o ex detenuti stessi.

Telefoni, stupefacenti ma anche coltelli di ceramica (che furono ritrovati già più di 10 anni fa nelle carceri, anche in quelle cosiddette “di sicurezza”) circolano quasi liberamente, grazie ai droni, grazie a proiezioni sui muri circostanti, o introdotti attraverso stanze di visita. Va ricordato che proprio durante il mandato di cinque anni di Sarkozy erano state vietate le perquisizioni sistematiche dei detenuti, in particolare al loro ritorno dai parlatori.

Molto spesso si riscontra un certo lassismo nella lotta contro il consumo di droga. L’odore della cannabis profuma spesso i corridoi, e le guardie non cercano più di scoprire da quale cella provenga perché sanno benissimo che il risultato finale sarà: l’assenza di punizione e la promessa di rapporti conflittuali con i prigionieri.

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Questa gestione della detenzione priva di fermezza è una benedizione per la gerarchia e la dirigenza, al fine di acquistare al meglio la pace sociale in una cultura del “no wave”, ma prima o poi mette in pericolo il personale.

Il pericolo arriva anche dalle centrali telefoniche. Ci sono telefoni fissi a disposizione nelle celle o nei corridoi, ma soprattutto migliaia di cellulari compresi gli smartphone.

Per quanto riguarda i telefoni fissi, mancano le risorse umane per controllarli. Molto spesso c’è un solo supervisore per l’intero istituto penitenziario che si occupa delle intercettazioni telefoniche. Oltre al fatto che questo supervisore può essere incaricato anche di svolgere altre missioni, spesso non è in grado di comprendere tutti i dialetti utilizzati nelle conversazioni tra i detenuti e i loro interlocutori.

Quanto ai cellulari, si tratta di una piaga che deve essere contenuta per evitare che i detenuti continuino a gestire il traffico di droga durante la detenzione, ma anche per evitare che pianifichino una fuga. L’amministrazione non sta facendo tutto il possibile per impedirne l’ingresso negli esercizi commerciali, né per impedirne l’utilizzo grazie ai jammer, spesso inefficaci sulla rete 5G, e che talvolta non attivano il servizio con l’obiettivo, sempre, di acquistare la pace sociale.

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Possiamo sorprenderci della morte di due supervisori mentre svolgevano la loro missione? Quando ho lasciato la Maison Centrale d’Arles nel 2014, me ne sono andato con l’idea che un supervisore prima o poi avrebbe perso la vita nel corridoio. Ad Arles, infine, sarà un detenuto, e che detenuto… Yvan Colonna. Detenuto che ho avuto l’opportunità di avere in custodia e che non ha avuto derive comportamentali nei confronti del personale.

Un anno fa, in qualità di vicepresidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle disfunzioni dell’amministrazione penitenziaria che portarono al suo omicidio, ho potuto evidenziare tutti i difetti che conoscevo fin troppo bene e che mettono in pericolo questo coraggioso personale.

Le scorte carcerarie sono un’altra parte del lavoro della guardia carceraria. Una cosa da sapere: le scorte, quando mediche, sono sempre effettuate da agenti disarmati. Troppo spesso, e soprattutto durante il servizio notturno, due dei nostri agenti si ritrovavano in compagnia di un detenuto dell’Ospedale Nord di Marsiglia, e questo, per buona parte della notte, nel pieno del pronto soccorso. Pronto soccorso spesso frequentati da delinquenti locali.

La tragedia del 14 maggio era purtroppo prevedibile perché in più occasioni gli agenti erano scampati per un pelo alla morte durante una scorta. Nell’ottobre 2011, all’ospedale di Aix-en-Provence, una guardia è stata colpita alla gamba durante una scorta medica da un individuo che stava facendo fuggire il detenuto affidato alle sue cure. Nel gennaio 2019, nei pressi del tribunale di Tarascona, una scorta giudiziaria è stata attaccata da un commando pesantemente armato che aveva sparato sul veicolo degli agenti e che aveva anche causato la fuga del detenuto.

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Me lo dicono i supervisori. È molto comune che le escort vengano seguite o inseguite da persone che cercano di intimidirle. Nonostante ciò, l’amministrazione non esita ad abbassare frequentemente il livello della scorta, a causa della carenza di personale carcerario o della mancanza di disponibilità delle forze di polizia affinché il trasferimento del detenuto possa comunque avvenire.

Sfortunatamente, potrebbe essere stato necessario affrontare la morte di questi due uomini per ottenere a questa amministrazione più risorse per garantire la loro sicurezza. In ogni caso, questa è la previsione che ho condiviso con il ministro della Giustizia lo scorso ottobre.

Voglio davvero rendere omaggio a tutte queste donne e uomini che svolgono una missione essenziale per la nostra società, e che spesso sono i più dimenticati. Spero che i nostri leader, al di là delle parole, affronteranno veramente i problemi.

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