chi è la presidente della giuria, la regista Greta Gerwig?

chi è la presidente della giuria, la regista Greta Gerwig?
chi è la presidente della giuria, la regista Greta Gerwig?
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IOCi sarebbe voluto un indovino per prevederlo – scoprendolo Greenberg (2010), commedia amara sulla solitudine ultramoderna di Noah Baumbach (film altrimenti evitato dal pubblico al momento della sua uscita) – che questa ragazza alta, un po’ goffa e dal sorriso disarmante sarebbe diventata, meno di quindici anni dopo, un mondo celebrità e presidente della giuria del 77e Festival del cinema di Cannes…

Vestita con abiti haute couture e adornata con gioielli di grandi gioiellieri, Greta Gerwig catturerà tutti gli sguardi nei prossimi dieci giorni, un’abitudine dalla scorsa estate quando Barbie ha ottenuto uno dei maggiori successi della storia del cinema (1,38 miliardi di dollari al botteghino). Ma nella sua prima vita era un’attrice di film indipendenti, lontana dalla Hollywood dei grandi studios e dei grandi budget.

Per capirla meglio è utile (ri)vederla in qualche film: Greenberg pertanto, Francesca Ha (2013) dello stesso Noah Baumbach (suo compagno), anch’esso di grande successo Le donne del XX secolo di Mike Mills… Interpreta giovani donne stravaganti, fragili a modo loro, ma che non cercano un salvatore né chiedono empatia. La loro caratteristica principale è quella di non essere al passo con la realtà, o almeno con la percezione di sé che la società dà loro.

L’equivalente femminile di Jean-Pierre Léaud

Nella sua performance, Greta Gerwig sembra sempre in bilico, è come in trance, a metà tra assenza e improvvisazione… Una sorta di equivalente femminile di Jean-Pierre Léaud di Baci rubati e di Casa coniugale. Osando irritare, offendere, rasentando il ridicolo, si comporta come se dimenticasse la presenza del pubblico, un modo di calpestare il tacito patto che solitamente unisce spettatori e attrici. No, non cercherò di sedurti, sembra dire… un po’ come in questa scena in cui Barbie (Margot Robbie), scoraggiata, crolla a terra e si rifiuta letteralmente di stare al gioco.

Perché è proprio la Greta Gerwig scoperta sul grande schermo che ritroviamo nei suoi film da regista. Passata dietro la macchina da presa (è anche sceneggiatrice di tutti i suoi film), inizia in modo classico con un soggetto personale, un racconto formativo sul suo difficile rapporto con la madre e sulla nascita della sua vocazione artistica (Signora Uccello2017).

Poi cambia scala (più risorse, casting di star) per un adattamento di un classico della letteratura americana. In Le figlie del dottor March (2019), parla di una giovane ragazza che vive solo per scrivere (Jo, interpretata da Saoirse Ronan, già alter ego del regista in Signora Uccello) e sorellanza, nonché una relazione romantica adulta, priva di romanticismo appassionato, quella che si sviluppa tra Amy (Florence Pugh) e Laurie (Timothée Chalamet).

“Barbie”, il blockbuster dell’autore

Tutti questi temi sono anche quelli di Barbie, un film mostruoso con un budget di 145 milioni di dollari, la sua bambola Mattel come protagonista, il suo marketing integrato. Barbie è una cosa rara: un grande blockbuster che è anche, a pieno titolo, un film d’autore, anzi un film d’autore. Innumerevoli forum hanno attaccato il film, giudicandolo troppo capitalista (come se un film prodotto in un’economia di mercato potesse essere qualcos’altro…) o ipocritamente femminista perché porterebbe le bambine a comprare Barbie (lo sfruttamento dei prodotti derivati ​​è stato parte dell’economia cinematografica da allora Guerre stellari)…

Con molta intelligenza, il cineasta si interroga costantemente su ciò che Barbie simboleggia, al punto da trasformare il significato stesso dell’oggetto: comprarne una oggi trasmette qualcosa di diverso rispetto a vent’anni fa… Risultato di una costruzione narrativa in cui Greta Gerwig elenca tutte le sue ossessioni: la questione della visione della società nei confronti delle donne, del legame fraterno, dello sviluppo di una relazione romantica.

Con questo film Greta Gerwig è riuscita a mescolare industria ed espressione individuale come facevano le grandi autrici della Hollywood classica, ha dato spazio all’affermazione femminista – tutto il film, incentrato sul cambiamento che la Corte Suprema di Barbieland potrebbe infliggere alla Costituzione, può essere letto come l’allegoria di una rivolta femminile contro il trumpismo – ma anche per Ken, questo grande incompreso la cui ballata dei non amati (“I’m just Ken”) è il punto di forza del film. Tutto il suo cinema sostiene la riconciliazione – tra madre e figlia (Signora Uccello), tra sorelle combattute (Le figlie del dottor March), tra Ken e Barbie. E se, contro ogni aspettativa, questo Festival di Cannes targato Greta Gerwig si rivelasse quello dei consensi?

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