Il rapporto Draghi discusso in questi giorni nell’Unione europea (UE) dà voce a una realtà nota a chi guarda le cifre: il recupero economico che i paesi dell’UE hanno sperimentato rispetto agli Stati Uniti tra il 1957 e la fine Gli anni ’70 si fermarono. Nel 2008, il PIL dell’Eurozona era inferiore del 4% rispetto al PIL degli Stati Uniti. Nel 2022 era inferiore del 69%. Nello stesso anno il PIL pro capite di un americano era superiore del 77% a quello di un cittadino dell’Eurozona. Al di là delle cifre, ogni europeo che si reca negli Stati Uniti rimane colpito dalla debolezza del proprio potere d’acquisto.
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Gli europei sarebbero condannati a essere i poveri degli americani? Un simile declino della prosperità colpisce il cuore stesso del progetto europeo, quello della creazione degli Stati Uniti d’Europa. Il rapporto Draghi lo sottolinea. Ma una volta fatta questa dura ma incontestabile diagnosi, Mario Draghi soccombe a quello che è proprio uno dei motivi del fallimento dell’UE nel prendere forma: l’incapacità di capire che sempre più l’Europa non è LA soluzione. Gli europei stanno diventando più poveri perché i loro leader – non tutti – perseguono cattive politiche nazionali, facendo loro credere erroneamente che tutte le soluzioni e gli ostacoli siano europei. Facciamo due esempi.
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Innanzitutto la spesa pubblica. Il rapporto Draghi propone di aumentare drasticamente la spesa pubblica europea per compensare la mancanza di investimenti. Possiamo discutere l’importo. Meno realtà del sottoinvestimento. Tuttavia, se la soluzione fosse spendere più denaro pubblico, la Francia, con la spesa pubblica più elevata e le tasse obbligatorie, non avrebbe le scarse prestazioni che conosciamo. Mario Draghi, come gli alchimisti dell’UE, ritiene che, poiché un euro viene speso nell’UE e non dagli Stati membri, sia più efficiente. Ma non c’è nulla che supporti questa idea. Il piano Juncker da 315 miliardi o il Recovery fund da 723 miliardi hanno dimostrato la loro efficacia? Affatto. L’UE non sa come investire meglio degli Stati membri.
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Poi l’integrazione istituzionale dell’Ue, necessariamente favorevole alla crescita. Consideriamo la valuta, uno dei poteri federali dell’UE. Se la soluzione fosse più federalismo monetario, immagineremmo logicamente che i paesi membri della zona euro crescano più velocemente degli stati membri dell’UE che hanno mantenuto la loro valuta nazionale (Danimarca, Polonia, Svezia, ecc.). Tuttavia, negli ultimi dieci anni, non un solo anno la crescita nella zona euro è stata superiore a quella dei paesi al di fuori della zona euro (Eurostat). Sa anche Mario Draghi che sul fronte dell’innovazione, da lui giustamente invocata, l’ultimo rapporto annuale dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI) sull’innovazione economica colloca la Svezia (fuori dalla zona euro) al 2° posto, il Regno Unito (che uscito dall’UE) in 5° posizione… e che da 14 anni ininterrotti uno Stato dell’Europa geografica determinato a non aderire all’UE è 1È : Svizzera?
Queste ragioni non spiegano il ritardo europeo rispetto all’America. Consentitemi di citare qui due pilastri del dinamismo americano, che sono – e purtroppo, senza dubbio, mancheranno per molto tempo – crudelmente carenti tra gli europei.
Il primo è settoriale e riguarda l’esercito. L’esercito americano è il fondamento del dinamismo economico americano. L’innovazione, nelle sue manifestazioni più spettacolari come la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) o Internet nelle sue origini, è al centro della produttività americana. Il potere militare è anche la chiave del potere geopolitico americano che garantisce il dominio indiscusso – e duraturo – del dollaro su tutte le altre valute. Esiste, per riprendere un’immagine, un legame diretto tra le 11 portaerei americane e la capacità dell’America di ricorrere al “deficit senza lacrime” (J.Rueff). La Cina lo capisce bene. L’UE, da parte sua, vuole essere visceralmente pacifica, è stata fondata sul commercio dolce ed è ossessionata dai suoi “valori”. I suoi membri, nonostante i loro timidi sforzi dopo l’invasione dell’Ucraina, restano ben felici di rifugiarsi dietro la NATO, vale a dire gli Stati Uniti.
Gli americani amano e apprezzano l’eccellenza
Il secondo è più filosofico: gli americani amano e apprezzano l’eccellenza. Se il capitale essenziale di un’economia è il capitale umano, gli Stati Uniti sono e restano il centro di attrazione delle migliori menti del pianeta. Traggono tutte le conseguenze, siano esse educative, fiscali o imprenditoriali, per garantire una “fuga di cervelli” senza precedenti. L’UE, che, come ha riassunto una volta Angela Merkel davanti al Bundestag, “rappresenta il 10% della popolazione mondiale, il 20% del PIL mondiale, il 50% della spesa sociale mondiale”, vede se stessa come un rifugio, ma non come uno spazio di opportunità per il meglio. L’UE pensa a ridistribuire mentre l’America pensa a produrre. L’UE cerca l’uguaglianza quando l’America confida nella libertà, anche a costo di forti disuguaglianze. Ancor di più, in America, si è posto la domanda George Steiner Il castello di Barbablùha forse trovato la pietra filosofale in termini di crescita: alla confluenza tra protestantesimo e utilitarismo, gli americani, diciamolo senza mezzi termini, amano il denaro. Misurano il successo in base alla fortuna, in modo sproporzionato rispetto agli europei.
In definitiva, cerchiamo di essere modesti e realistici. Anche l’America ha e avrà le sue difficoltà economiche. Diffidiamo dei discorsi dei recenti convertiti dei nostri autoproclamati “circolo della ragione” che ci spiegano, dopo aver annunciato cento volte il collasso economico americano, che in fondo il dinamismo è proprio americano. Ma ricordiamoci anche, se usiamo queste categorie intellettuali che alcuni ritengono obsolete, che la differenza duratura nella crescita tra Stati Uniti e America è forse dovuta a questo segreto di Pulcinella: non sono solo gli americani che vengono da Marte e gli europei da Venere. Più semplicemente, gli americani sono economicamente di destra, gli europei di sinistra. È anche una scelta che va ammessa, e perché non supposta.