“Cosa resta da immaginare una dinamica favorevole alla creazione di uno Stato palestinese? »

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“Cosa resta da immaginare una dinamica favorevole alla creazione di uno Stato palestinese? »
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FDovrebbe prendere sul serio l’impegno americano per uno Stato palestinese? Agli scettici non mancano gli argomenti. Ma la prudenza impone di non escludere nessuno scenario: anche in Medio Oriente, dove ce ne sono tanti, non sempre i profeti di sventura hanno ragione.

La guerra a Gaza sta entrando nel suo ottavo mese. Il gabinetto di guerra israeliano, sotto la guida di Benjamin Netanyahu, ha lanciato un’offensiva sulla punta meridionale del territorio palestinese, in una parte della città di Rafah. Con grande dispiacere di Washington e nel momento in cui Hamas afferma di aver accettato una proposta di cessate il fuoco temporaneo in cambio del rilascio di una trentina di ostaggi israeliani e di centinaia di detenuti palestinesi in Israele.

Il primo ministro israeliano prende tempo, la proposta non lo soddisfa, procrastina. Assicura che vuole a “vittoria totale” sul ramo islamista del movimento palestinese, responsabile dell’attentato del 7 ottobre 2023 nel sud di Israele, durante il quale furono massacrate circa 1.200 persone.

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In questa fase di guerra sostenuta dagli Stati Uniti fin dall’inizio, Joe Biden e Benjamin Netanyahu non sono più d’accordo su nulla. Contrariamente ad un’offensiva sulla città di Rafah, Washington ha, per la prima volta, sospeso la consegna di munizioni all’esercito israeliano.

Una progressiva “somalizzazione”

In fuga da bombardamenti intensi – a volte “indiscriminato”, dice Joe Biden – più di un milione di abitanti di Gaza, provenienti dal nord o dal centro del territorio, sono rifugiati a Rafah. Loro stessi sono, per molti, figli e nipoti dei rifugiati della guerra del 1948. La campagna condotta da Israele provocò, secondo Hamas, circa 35.000 morti. Trasformata in un gigantesco campo improvvisato, senza scuole, senza ospedali, senza amministrazione, Rafah simboleggia il futuro di una Striscia di Gaza oggi devastata: una progressiva “somalizzazione” che fa maturare una nuova generazione di jihadisti.

Secondo New York Times e il Financial Timesalcuni Stati arabi si mobiliterebbero per la ” Il giorno dopo ” (la guerra). Egiziani, Emirati e Sauditi prenderebbero in considerazione la possibilità di formare, con il sostegno degli Stati Uniti, una forza di mantenimento della pace. Obiettivo: garantire la sicurezza e la ricostruzione di Gaza per un periodo transitorio, prima di affidarne l’amministrazione all’Autorità Palestinese. Ma questi stati, tutti con una marcata tendenza autocratica, hanno popolazioni i cui sentimenti radicalmente anti-israeliani sono stati esacerbati dalla guerra di Gaza.

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