Diritti affini: Mediapart lancia la battaglia per la trasparenza contro Google

Diritti affini: Mediapart lancia la battaglia per la trasparenza contro Google
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EnonIn Marzo 2024, Mediapart avrebbe dovuto ricevere una somma considerevole in cambio dell’utilizzo da parte di Google dei nostri articoli, e quindi delle nostre informazioni esclusive, sul suo motore di ricerca. Ma in mancanza di trasparenza, abbiamo impedito che il bonifico arrivasse sui nostri conti.

Dall’aprile 2019, infatti, una direttiva europea relativa ai “diritti affini” della stampa, trascritta nella legge francese nel luglio dello stesso anno, obbliga le piattaforme digitali a remunerare, in nome della proprietà intellettuale, editori ed agenzie di stampa in cambio della distribuzione di estratti del loro contenuto, da cui traggono introiti, in particolare dalla pubblicità.

Mediapart ritiene giusto il principio di questa compensazione finanziaria, sancita dalla legge come diritto dovuto ai media e ai giornalisti. Fin dall’inizio, nell’ottobre 2021, abbiamo sostenuto la creazione in Francia dell’Organismo di gestione collettiva dei diritti connessi della stampa (OGC-DVP), incaricato di negoziare con Gafam e di distribuire equamente le somme tra i beneficiari, come abbiamo constatato noi stessi nel suo approccio collettivo. A differenza dei media che hanno scelto di fare ciascuno per sé firmando accordi individuali, noi riteniamo che solo un fronte unito degli attori del settore possa placare queste multinazionali che, senza legislazione, continuerebbero a saccheggiare i nostri articoli.

© Foto Sébastien Calvet / Mediapart



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In questo contesto, nell’ottobre 2023 è stato firmato un accordo con Google per conto dei membri dell’OGC-DVP, che oggi rappresentano 305 editori e agenzie, tra cui, oltre a Mediapart, AFP, Radio France, France Télévisions, Il gruppo, L’anatra incatenatanonché i membri dell’Unione dei redattori della stampa periodica (SEPM), della Federazione nazionale della stampa specializzata dell’informazione (FNPS) e dell’Unione della stampa indipendente dell’informazione online (Spiil), di cui Mediapart è socio fondatore.

In una logica positiva, i membri dell’OGC-DVP hanno deciso di moderare il criterio dell’audience, unica bussola della compagnia americana, con la qualità giornalistica, conteggiando il numero di giornalisti impiegati dai diversi media.

La sfiducia pubblica può essere combattuta (…) solo rifiutando l’opacità riguardo ai nostri modelli economici e ai nostri risultati.

Ma non si è potuta raggiungere una condizione essenziale per il nostro giornale: la trasparenza sul contratto firmato e sulle sue modalità di applicazione. Le clausole di riservatezza imposte da Google ci impediscono attualmente di comunicare ai nostri lettori non solo l’importo totale pagato, ma anche quello che Mediapart ha diritto di ricevere.

Dato il legame di fiducia con i nostri abbonati, che garantiscono la quasi totalità delle nostre entrate (98%), e mentre pubblichiamo i nostri conti ogni anno, ci sembrava inconcepibile raccogliere anche il minimo centesimo, anche se legittimo. Avremmo potuto decidere di ignorare questo divieto di trasparenza, ma così facendo avremmo messo a repentaglio l’accordo nel suo insieme, a scapito degli altri membri dell’OGC-DVP. La remunerazione però non torna al mittente (Google): resta in riserva presso l’organismo di gestione collettiva, in attesa che venga sollevato il velo sulle cifre.

Certamente stiamo conducendo questa battaglia a nostro nome, ma la riteniamo necessaria per tutto il nostro ecosistema. Siamo convinti che la sfiducia dell’opinione pubblica possa essere combattuta solo garantendo l’indipendenza delle nostre imprese e rifiutando l’opacità sui nostri modelli economici e sui nostri risultati. Non è inoltre insignificante che l’Autorità garante della concorrenza si sia basata proprio sulla mancanza di trasparenza di Google per imporre una multa di 250 milioni di euro, in una decisione del 20 marzo 2024.

Dopo Google, sono in corso trattative con Facebook, Microsoft, attraverso Il Parlamento riprende e completa la legge del 2019 scolpindo nella pietra questo rifiuto della segretezza. Di fronte agli eccessi monopolistici attuali, che colpiscono soprattutto le strutture più piccole e indipendenti, la regolamentazione non può più essere ritardata.

Contro il controllo di Gafam e AI sull’informazione

Mentre da noi, al momento del lancio di Mediapart nel 2008, la promessa iniziale di Internet come luogo di condivisione tra pari si è autodistrutta. In pochi anni le piattaforme hanno acquisito un potere inimmaginabile, alcune diventando più potenti degli Stati. Forti di un autentico know-how capitalistico, si sono resi essenziali nella diffusione e promozione dei nostri contenuti giornalistici. Offrendo ai media ogni sorta di “soluzioni” tecniche, essi penetrano al cuore del loro funzionamento, nella creazione e monetizzazione di ciò che costituisce il valore specifico della nostra professione. La corsa all’intelligenza artificiale non fa che confermare quanto l’informazione sia l’oggetto di ogni desiderio.

Oggi il pericolo per la democrazia è evidente. Le sfide tecnologiche ed economiche sono tali che noi, aziende di stampa, non possiamo lasciare che queste megapotenze riconfigurino lo spazio pubblico a loro esclusivo vantaggio, a scapito del diritto alla conoscenza.

Dipendere finanziariamente dalle piattaforme sembra incompatibile con la nostra missione di pubblica utilità.

La questione così sollevata non è quella dei rischi e delle opportunità delle nuove tecnologie, che di per sé non sono né buone né cattive, e il cui interesse nasce dall’uso che ne facciamo. Ma quella della sfida economica e politica di rifiutare che gli attori privati ​​indeboliscano, con gli algoritmi, la libertà di stampa e il pluralismo dell’informazione.

Per una battaglia collettiva

Contro la legge del più forte, che soffoca la stampa indipendente e distorce la concorrenza, è nostra responsabilità non concedere nulla in termini di indipendenza e trasparenza. Per questo motivo, contrariamente a quanto sostengono alcuni giornali, Mediapart si è sempre rifiutata di firmare accordi commerciali con queste società, che non hanno nulla a che vedere con la remunerazione dei diritti connessi, in quanto stabiliscono partnership finanziarie, tecniche e talvolta editoriali.

Redditizio da tredici anni, il nostro modello economico senza pubblicità, senza aiuti pubblici, senza mecenati e senza azionisti, garantisce, agli occhi dei nostri lettori, una produzione di informazione senza interferenze, senza censure o autocensure.

La dipendenza finanziaria dalle piattaforme ci sembra incompatibile con la nostra missione di pubblica utilità, che è quella di responsabilizzare i potenti. Ciò ci sembra estremamente pericoloso anche dal punto di vista economico. Mentre la vita, se non la sopravvivenza, di molti media è già legata agli aiuti pubblici, e quindi alla buona volontà dello Stato, trovandosi strutturalmente alla mercé di aziende i cui orientamenti strategici possono cambiare da un giorno all’altro, come è già avvenuto per Facebook, è più che pericoloso.

Ci rammarichiamo che alcuni colleghi agiscano da soli anziché impegnarsi in un equilibrio di potere collettivo. Per citarne solo uno, Il mondo ha appena concluso una partnership bilaterale pluriennale con la società di intelligenza artificiale OpenAI, senza rivelare il minimo elemento finanziario, dopo aver fatto lo stesso inizialmente con Google e Facebook. Questo accordo “consentirà all’azienda di fare affidamento sul corpus del journal per stabilire e rendere più affidabili le risposte del suo strumento ChatGPT, fornendo una significativa fonte di entrate aggiuntive”, spiega il giornale. Dall’altra parte dell’Atlantico, il New York Times ha fatto la scelta opposta, citando in giudizio questo creatore di software e Microsoft per denunciare il furto della sua proprietà intellettuale.

Mentre la strategia dei giganti della tecnologia consiste nell’attirare nelle loro reti gli attori predominanti per imporre le loro pratiche e dividere il mercato, è essenziale riunire le nostre forze, almeno quelle della stampa indipendente: solo una mobilitazione generale degli editori può aiutare evitare che i nostri scoop vengano smembrati in dati statistici. Approvato dagli Stati membri dell’Unione Europea il 2 febbraio 2024, l’AI Act deve andare oltre richiedendo maggiore trasparenza sui testi, immagini e video che alimentano le “macchine” di intelligenza artificiale.

Dopo le materie prime minerali, l’informazione di qualità non deve diventare il nuovo Eldorado dell’industria estrattivista globale. Invece di accettare questa sudditanza, costruiamo con i nostri lettori comuni e, con il nostro know-how professionale, che consiste nel produrre fatti, significato e chiarezza sul mondo che ci circonda, assumiamo la nostra missione di contropoteri democratici. La nostra utilità sociale dipende da questo.

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