McDonald’s, Quick, Burger King… Cosa rappresentano le spese di marketing nel prezzo di un hamburger?

McDonald’s, Quick, Burger King… Cosa rappresentano le spese di marketing nel prezzo di un hamburger?
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Quick è tornato e lo sta facendo conoscere con un’ottima comunicazione. Il marchio belga di fast food ha appena svelato una clip promozionale sui social network in cui annuncia la sua partnership con Tony Parker. In TV, moltiplica le pubblicità con Eric & Ramzy o lo chef Norbert Tarayre. E questo mercoledì, durante una partita del Variétés Club de France durante la quale il presidente della Repubblica Emmanuel Macron si è distinto segnando un rigore, lei è stata sponsor della maglia a beneficio dei Pezzi Gialli.

Il 6% del fatturato di Quick finanzia il marketing

Non è un caso in tutto questo: Quick, i cui ristoranti erano passati da 400 nel 2015 a 100 nel 2021, anno del suo rilevamento da parte di un fondo americano, punta molto sulla comunicazione per il suo ritorno. Una strategia assunta dal suo amministratore delegato Frédéric Levacher, che stima le sue spese di marketing in 25 milioni di euro nel 2023. Una parte significativa dei 415 milioni di euro di fatturato che Quick ha realizzato in Francia con i suoi ormai 140 ristoranti. 18 sono stati aperti l’anno scorso e il marchio punta a realizzarne 30 nuovi all’anno entro il 2028.

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Sulla vendita di un Giant Max o di un Quick N’Toast (due dei panini di punta del fast food belga), bisogna quindi immaginare che il 6% del prezzo di vendita venga utilizzato per finanziare pubblicità e altre partnership. Potrebbe sembrare molto, se si sa che il costo di produzione di un hamburger raramente supera il 25% di questo prezzo. Ma Bernard Boutboul, presidente di Gira, società di consulenza nel mercato del consumo alimentare, non è sorpreso. “Le spese di marketing dei fast food sono sempre state elevate. Molto di più di quelli della ristorazione tradizionale. Ciò si spiega con il fatto che si deve parlare costantemente di fast food”.

Nel gergo del marketing la chiamiamo “consapevolezza spontanea”, ovvero in cima alla mente. Il fatto che un marchio si affermi nella mente del consumatore come un riferimento nel suo settore. In questo gioco il padrone quasi indiscusso è ovviamente McDonald’s. Va detto che la multinazionale americana si sta dando i mezzi per restare tale: “Per le aziende che hanno una rete di ristoranti più grandi, come nel caso di McDonald’s (1.500 ristoranti in Francia, ndr), la percentuale del fatturato destinata al marketing si aggira intorno al 10%”, spiega Bernard Boutboul. Vi lasciamo fare il calcolo sapendo che nel 2022 il fatturato dei ristoranti McDonald’s in Francia è stato di oltre 6,18 miliardi di euro.

Quick quindi assomiglia a Pollicetto. Ma il suo leader appare fiducioso. “Con il nuovo azionista e la squadra che rappresento, abbiamo intrapreso l’avventura con la convinzione che Quick, grazie alla sua notorietà e al suo passato con i clienti, avesse la capacità di crescere ancora. Stiamo riconquistando spazio nei confronti delle grandi catene”, dice Frédéric Levacher. Secondo lui l’aumento del fatturato si spiega con l’aumento dell’afflusso di clienti, ma anche con l’aumento della spesa per acquirente, legato soprattutto all’aumento dei prezzi dei menù.

Il prezzo di un cheeseburger è aumentato da 0,90 € a 2,50 €

Si tratta infatti di una tendenza comune a tutto il settore: dal 2022 i colossi del fast food hanno aumentato i prezzi in modo tale da poter essere notato dai consumatori. Nel 2023 su X (ex Twitter), a https://twitter.com/DigitalGanon/status/1649874913887498240?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1649874913887498240%7Ctwgr%5E51ba10cb98637106574844b225796f2a7c298f5a%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fpublish.twitter.com%2F%3Furl%3Dhttps%3A%2F%2Ftwitter.com%2FDigitalGanon%2Fstatus%2F1649874913887498240 era emersa e aveva suscitato l’emozione degli avventori angosciati di pagare un cheeseburger 2,50 euro contro gli 0,90 di allora… Può il mero aumento del costo delle materie prime giustificare un simile aumento?

Bernard Boutboul osserva che le spese di marketing, “se sono sempre stati alti, dopo il Covid sono fortemente aumentati”. Ciò è dimostrato dal fatto che negli ultimi due anni le major del fast food hanno aumentato il numero di collaborazioni di partnership con celebrità o licenze. McDonald’s con il musicista DJ Snake o la serie Emily in Paris; Burger King con lo chef Michel Sarran o il manga One Piece… Operazioni che si aggiungono a tutte quelle di sponsorizzazione (KFC è per esempio partner della Federcalcio francese, McDonald’s ormai in Ligue 1) e tutte le altre pubblicità.

Questa strategia di marketing di partnership con celebrità non è nuova, in senso stretto. Quick è stato anche un pioniere: nel 2011 il brand ha già collaborato per la prima volta con Tony Parker. La particolarità è che è sistematizzato. “Per molto tempo McDonald’s è stato autosufficiente e aveva meno bisogno di collaborazioni”osserva Bernard Boutboul.

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Il presidente di Gira nota però una vera novità: la battaglia di marketing che McDo, Burger King, Quick e KFC portano avanti dall’inizio del 2024 attorno ai loro “menu da 5 euro”. Quasi contemporaneamente, hanno lanciato rispettivamente il menu “McSmart”, “Bon & pas cher”, “Qarrément bon” e “Crispy Deal”. “Questi marchi hanno capito che i francesi hanno un problema di potere d’acquisto e ora parlano solo di prezzo. Comunicano eccessivamente dicendo che sono i migliori nell’incoraggiare le persone a venire da loro”, analizza Bernard Boutboul. Una strategia a dir poco paradossale, dato che questi menù “anti-inflazione” sono stati lanciati per rispondere all’aumento di quelli normali… che queste stesse aziende hanno orchestrato.

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