Dopo 25 anni di studi, gli scienziati hanno scoperto la vita su questo asteroide, ma c'è un grosso problema: sono loro che hanno contaminato il campione

Dopo 25 anni di studi, gli scienziati hanno scoperto la vita su questo asteroide, ma c'è un grosso problema: sono loro che hanno contaminato il campione
Dopo 25 anni di studi, gli scienziati hanno scoperto la vita su questo asteroide, ma c'è un grosso problema: sono loro che hanno contaminato il campione
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L'analisi di un campione proveniente dall'asteroide Ryugu, riportato dalla missione Hayabusa2, rivela la presenza di microrganismi. Sfortunatamente, questa non è la prova di vita extraterrestre, ma di una spettacolare contaminazione terrestre, evidenziando la notevole adattabilità della vita sulla Terra. Questa scoperta ha importanti implicazioni per le missioni di esplorazione spaziale.

Una scoperta iniziale promettente

L'esplorazione dello spazio, la ricerca incessante di risposte ai misteri dell'universo, porta con sé la speranza ultima di scoprire forme di vita extraterrestre. L'analisi dei campioni di asteroidi, capsule in tempo reale che testimoniano la formazione del sistema solare, rappresenta un passo cruciale in questa ricerca. Tuttavia, un recente studio su un campione dell’asteroide Ryugu, riportato sulla Terra dalla missione Hayabusa2 dell’agenzia spaziale giapponese (JAXA), stempera questo entusiasmo. Se davvero sono stati scoperti organismi viventi, si scopre che non si tratta di forme di vita extraterrestri, ma di inaspettata contaminazione terrestre. Questa spettacolare contaminazione evidenzia l’enorme capacità di adattamento e colonizzazione della vita sul nostro pianeta, anche in condizioni estreme.

Il campione A0180, una minuscola particella di regolite (materiale superficiale) di 1 x 0,8 mm prelevata da Ryugu, è stata sottoposta ad analisi approfondite per più di due anni. Inizialmente trasportato e conservato in condizioni asettiche draconiane, il campione è stato quindi manipolato per la preparazione di blocchi lucidati destinati all'osservazione al microscopio elettronico a scansione (SEM). Fu durante queste osservazioni che avvenne la scoperta: sulla superficie del campione furono rivelati filamenti e bastoncini di materia organica, le cui dimensioni e morfologia ricordano fortemente i microrganismi filamentosi.

Il gruppo di ricerca, guidato da Matthew Genge dell'Imperial College di Londra

inizialmente considerata la possibilità di una forma di vita extraterrestre. La presenza di strutture simili a cellule, associate alla materia organica dell’asteroide, sembrava infatti promettente. Tuttavia, ulteriori analisi hanno rivelato variazioni significative nell’abbondanza di questi filamenti nel tempo.

Il punto di svolta: l’evoluzione temporale della popolazione microbica

Il numero dei microrganismi ha subito un drammatico aumento (da 11 a 147 individui in pochi giorni), seguito da una graduale diminuzione. Questo ciclo di crescita e declino, caratteristico di una popolazione microbica, è stato decisivo per la conclusione dei ricercatori. Questa osservazione, unita all’assenza di microrganismi rilevabili prima della preparazione del campione, ha permesso di escludere definitivamente l’ipotesi di vita extraterrestre indigena. La crescita osservata è avvenuta dopo l'arrivo sulla Terra, confermando la contaminazione di origine terrestre.

Il tempo di generazione stimato per questi organismi (circa 5,2 giorni) è coerente con quello di alcuni batteri, in particolare il Bacillus. Sebbene non sia stato possibile un'identificazione precisa della specie in assenza dell'analisi del DNA, l'ipotesi di una contaminazione da parte di batteri del genere Bacillus, molto diffusi nel suolo e nelle rocce, appare la più plausibile.

Contaminazione terrestre: uno scenario inevitabile?

La contaminazione sembra essere avvenuta durante la fase di preparazione del campione, nonostante il protocollo di sterilizzazione estremamente rigoroso di JAXA. L'esposizione del campione all'atmosfera terrestre, anche per un breve periodo, è stata sufficiente a consentire la colonizzazione da parte di una o più spore. Questa scoperta evidenzia la fragilità dei campioni extraterrestri ed evidenzia la necessità di implementare protocolli di contaminazione ancora più rigorosi per le future missioni di ritorno dei campioni. Anche con precauzioni eccezionali, sembrava che la vita terrestre fosse particolarmente abile nella colonizzazione.

Questa scoperta, sebbene deludente per quanto riguarda la ricerca di vita extraterrestre su Ryugu, ha implicazioni di vasta portata per l’astrobiologia e le missioni spaziali. Mette in luce l’eccezionale resistenza e capacità di colonizzazione dei microrganismi terrestri, capaci di prosperare in condizioni apparentemente sfavorevoli. Solleva inoltre questioni critiche riguardo alla contaminazione degli ambienti extraterrestri da parte delle stesse missioni spaziali, evidenziando la necessità di migliorare significativamente i protocolli di protezione planetaria.

Lo studio del campione Ryugu ha dimostrato che la materia organica presente nei meteoriti, anche in un ambiente estremo, può fungere da supporto per lo sviluppo della vita. Questa osservazione ha conseguenze dirette per l'interpretazione dei dati raccolti su altri corpi celesti, e in particolare per l'analisi della presenza di materia organica su Marte.

Verso protocolli di protezione planetaria rafforzati

Il caso di Ryugu, nonostante la mancanza di conferme di vita extraterrestre, costituisce un prezioso monito per la comunità scientifica. Evidenzia le sfide inerenti alla ricerca della vita oltre la Terra e sottolinea la necessità di un rigore estremo nella prevenzione della contaminazione terrestre. La ricerca della vita extraterrestre è un’impresa complessa che richiede una vigilanza costante e una continua messa in discussione delle ipotesi. Le future missioni di ritorno dei campioni dovranno integrare le lezioni apprese da questa esperienza per evitare la contaminazione e ottimizzare le possibilità di rilevare, un giorno, prove tangibili della vita altrove nell’universo.

Il futuro dell’esplorazione spaziale risiede nel costante miglioramento dei protocolli di protezione planetaria, al fine di garantire l’integrità scientifica dei campioni extraterrestri e preservare la possibilità di scoprire, con certezza, tracce di vita oltre il nostro pianeta. La corsa per scoprire la vita extraterrestre è lungi dall’essere finita e l’esperimento Ryugu ci ricorda che il rigore scientifico e la cautela rimangono i nostri migliori alleati in questa affascinante ricerca.

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