Al processo, Nicolas Sarkozy dà il via alla sua campagna “eccezionale” del 2007

Al processo, Nicolas Sarkozy dà il via alla sua campagna “eccezionale” del 2007
Al processo, Nicolas Sarkozy dà il via alla sua campagna “eccezionale” del 2007
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Nicolas Sarkozy mentre lascia il tribunale a Parigi il 13 gennaio 2025 (Martin LELIEVRE / AFP)

Denaro straniero per finanziare la sua campagna del 2007? “Non ne avevo bisogno”: “le riunioni erano stracolme”, “i sostenitori si precipitavano”, ha congedato lunedì Nicolas Sarkozy al processo per corruzione a Parigi, descrivendo l’entusiasmo “eccezionale” che la sua candidatura aveva suscitato. le elezioni presidenziali.

Nicolas Sarkozy è sotto processo dal 6 gennaio al 10 aprile, insieme ad altri undici imputati, per sospetto di finanziamento della sua campagna presidenziale del 2007 da parte del dittatore libico Muammar Gheddafi, in cambio di una contropartita.

Il primo giorno degli interrogatori, la presidente Nathalie Gavarino ha ripercorso la carriera politica dell’ex inquilino dell’Eliseo che ha affermato di aver iniziato, dopo la sua elezione al municipio di Neuilly nel 1983, a costruirsi una “statura presidenziale”.

«Volevo fare politica ai massimi livelli, immaginavo di potermi costruire un destino e vi ho dedicato la vita fino esattamente al 2016», dichiara l’ex presidente, 69 anni, in giacca e cravatta nera.

Molto a suo agio al timone, conferma volentieri le tappe principali del suo curriculum, fino alla candidatura alle presidenziali del 2007, evocando in una risposta la sua “energia di quando era giovane” – “non te ne perdi nessuna”, interrompe il presidente. “Quindi, immagina alle 21!” risponde.

“Mai” ha pensato di “finanziare” la sua campagna, perché “non è mai stato un problema”. All’epoca, l’UMP era “il partito leader in Francia”, “continuava a raccogliere migliaia di sostenitori, contava 335.000 iscritti” ovvero “un livello che nessuno è mai riuscito a raggiungere”. “Le riunioni erano stracolme di gente”, si lascia trasportare l’imputato.

Al massimo andava ai “pranzi o cene di raccolta fondi” organizzati “da tutto il team attorno a Eric Woerth”. “Non ho mai scelto un prestatore di servizi per la mia campagna né incontrato un prestatore di servizi”, aggiunge, volendo distinguersi fin dall’inizio dal tesoriere della sua campagna, anche lui informato ma assente lunedì.

“Allora non avrà la tentazione di andare a chiedere soldi a un capo di Stato straniero alla fine del 2006?”, dice Nathalie Gavarino.

“NO. Uno: non avevo l’idea, non sono pazzo. Due: non ne avevo bisogno. Tre: sono tanti i capi di Stato che ho conosciuto, perché ero un ministro dell’Interno che non smetteva mai di viaggiare», si vanta.

“Mai, mai!”

Ma quando poi è l’accusa a toccare il tema dei finanziamenti, Nicolas Sarkozy si irrigidisce. “Vorrei finalmente, se qualcuno avesse il minimo elemento, darmelo!” perde la pazienza, come spesso accade, portando il pubblico al compito. “È estenuante dover rispondere ad accuse basate sul nulla!”

“Vi assicuro che vi verranno poste domande su fatti oggettivi e non su accuse”, ribatte il procuratore finanziario Quentin Dandoy.

Durante tre ore di un confuso interrogatorio di cui è difficile definire l’argomento, Nicolas Sarkozy si difende instancabilmente, scegliendo di schivare, indignarsi o attaccare quando le domande non gli piacciono.

Come quando lo interroghiamo su Ziad Takieddine, l’intermediario sulfureo al centro del caso, anche lui processato ma latitante in Libano.

Un “truffatore” e un “bugiardo” con cui non ha “nessun rapporto”, insiste. Un uomo che “fa delle sciocchezze nel suo angolo” e ha ricevuto soldi libici – “ma se li tiene, credetemi, non è così generoso!”

L’ex moglie dell’intermediario ha testimoniato di averlo visto ricevere una telefonata di condoglianze nel 2008 per la morte di sua madre da parte di Nicolas Sarkozy? “Mai, mai”, “smentisco formalmente”, giura quest’ultimo, giunte le mani come per supplicare la corte di credergli.

E quando il PNF lo interroga sull’affare Karachi, dove Ziad Takieddine e uomini a lui prossimi sarebbero comparsi, rimane «sbalordito»: i processi, «ne ho abbastanza da occuparmi di quelli degli altri», ironizza il uno che è al quinto in cinque anni.

A un avvocato delle parti civili che lo solletica sulla sua “concezione della verità”, finisce per sbottare: “So da tempo che la parola verità può essere usata solo al plurale”.

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