Per i ricercatori epidemiologici è il mistero dell’estate. Cosa è successo allora nel Missouri, lo stato americano dove, il 22 agosto, è stata ricoverata la prima persona infettata dall’influenza aviaria H5N1 senza alcun contatto accertato con un animale malato negli Stati Uniti? Mentre un’epizoozia – cioè un’epidemia che colpisce gli animali – infuriava da sei mesi tra le mandrie di vacche da latte nelle fattorie americane, tredici persone erano state contaminate da questo virus H5N1, tra cui quattro lavoratori agricoli a contatto con mucche da latte malate – un mondo primo – e nove persone che lavorano negli allevamenti di pollame. Questo nuovo caso solleva la minaccia di una possibile contaminazione tra esseri umani, che sarebbe il primo passo verso una possibile pandemia.
La posta in gioco è quindi alta, ma i primi elementi che filtrano, da più di un mese, dall’indagine epidemiologica su questo caso sono rari e frammentari, comunicati da un bollettino pubblicato ogni venerdì online sul sito Internet dell’agenzia governativa statunitense i Centri per il controllo delle malattie (CDC).
Nelle ultime tre settimane siamo venuti a conoscenza successivamente della contaminazione di questa persona, del fatto che qualcuno che condivideva il suo alloggio aveva sviluppato contemporaneamente sintomi influenzali – ma non era stato sottoposto al test; che anche una badante che si era presa cura del primo caso si era ammalata, ma aveva presentato un test PCR negativo per l’influenza, e infine che altre cinque badanti avevano sviluppato lievi sintomi respiratori senza effettuare il test.
Dati incompleti
Sorprendono questi primi resoconti dal campo di quella che costituisce una delle indagini epidemiologiche più seguite al mondo incompleto. “Si tratta solo di un problema nel modo in cui comunicano le autorità sanitarie americane o di una reale mancanza di reattività? »si chiede Thierry Lefrançois, veterinario del Centro per la cooperazione internazionale nella ricerca agricola per lo sviluppo. “La formulazione utilizzata mi sorprende, come se non fossero state adottate misure di sanità pubblica”aggiunge lo specialista che, pur appartenendo al comitato di monitoraggio e anticipazione dei rischi sanitari, non riesce a ottenere maggiori informazioni dal CDC.
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Nel suo bollettino del 27 settembre, l’agenzia sanitaria governativa americana precisa che sono stati prelevati campioni di sangue a cinque operatori sanitari che non avevano effettuato un test PCR per effettuare sieroologie, test che consistono nel cercare la presenza di anticorpi specifici di un’influenza infezione, che fungerebbero da testimoni di un’infezione passata. I risultati dei test del caso positivo sono in attesa da settimane. “Questo tipo di analisi dura al massimo una giornata, ci si potrebbe chiedere perché non proceda più velocemente”sottolinea Thierry Lefrançois, il quale precisa che un test negativo non è una prova sufficiente dell’assenza di infezione. Logicamente andrebbe esaminata la sierologia di tutti i contatti stretti, compresi quelli che non hanno riportato alcun sintomo.
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