L'EDITORIALE DI FIGARO – Le indagini mettono in luce, oggi, le carenze istituzionali che hanno accompagnato la tragedia.
Samuel Paty avrebbe potuto essere salvato? Questa domanda, o meglio questo tormento insopportabile e inquietante, incombe sul processo ai suoi carnefici che si apre oggi a Parigi. Il 16 ottobre 2020, la Francia è rimasta scioccata nello scoprire l’assassinio di uno dei suoi insegnanti, decapitato da un rifugiato ceceno mentre usciva da scuola. La scuola era chiamata “santuario”, appariva come era diventata: un luogo di sottomissione, più che di emancipazione.
La Repubblica si è indignata, il governo si è “mobilitato”. Candele, omaggi, discorsi. Poi, al nome di Samuel Paty, fu presto necessario aggiungerne un secondo, quello di Dominique Bernard, un insegnante di lettere accoltellato tre anni dopo davanti al suo liceo ad Arras. Le rare parole pronunciate dal suo assassino, la cui famiglia sarebbe stata espulsa qualche tempo prima, erano dedicate a esprimere il suo odio per la Francia. Nuove candeline, altri tributi, stessi discorsi.
“Se la morte di mio fratello avesse…
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