7 ottobre, un anno di guerra

7 ottobre, un anno di guerra
7 ottobre, un anno di guerra
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Come possiamo parlare di una guerra di cui non vediamo più la fine? Il 7 ottobre 2023, più di 1.200 persone sono state uccise in attacchi senza precedenti di Hamas contro Israele, e altre 250 sono state prese in ostaggio a Gaza (solo 117 di loro sono state rilasciate da allora). Un trauma per la società israeliana, che tra pochi giorni ricorderà questo “sabato nero”.

Ma ricordare il 7 ottobre significa anche ricordare ciò che seguì, il diluvio di fuoco israeliano, la brutale guerra contro Gaza, più di 41.000 morti in un anno, e oggi l’incursione di terra dell’IDF in Libano, dopo l’eliminazione, il 27 settembre, di il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ucciso durante un bombardamento israeliano nella periferia sud di Beirut.

“Siamo di fronte a due storie diverse, spiega lo scrittore palestinese Karim Kattan in un’intervista a Corriere internazionale. Uno con la costruzione di una data, di un ricordo intorno a questa data. Di un momento formato, per così dire. L’altro è una sequenza che non finisce mai, un processo informe. […] A Gaza ogni orrore spazza via il precedente”.

Come possiamo dirci all’inferno? Cosa li separa o, al contrario, li unisce? Nel tentativo di raccontare a parole il 7 ottobre e il disastro che ne seguì, questa settimana abbiamo scelto di cambiare registro. Nel nostro dossier andiamo oltre il campo dell’attualità per privilegiare testi di riflessione con contributi di scrittori, intellettuali, ricercatori e giornalisti individuati nella stampa estera.

Sul futuro del sionismo (lo storico Yuval Noah Harari nel Washington Post) alle divisioni della società israeliana (Meron Rapoport in La nazione), progetti di ricolonizzazione del governo Netanyahu (Aluf Benn in Ha’Aretz, ma c’è anche Rami Mehdawi Al-Ayyam) alla difficoltà di scrivere una storia ancora in divenire (Karim Kattan), al dolore dell’esilio (Mohammed Mhawish in La nazione anche lui) alla speranza ritrovata, nonostante tutto, di fronte alla mobilitazione globale a favore della Palestina (Sarah Aziza, in Il nuovo statista), descrivono tutti un futuro molto incerto, una difficoltà anche a pensare, a volte, di fronte all’indicibile.

“È del tutto comprensibile che cerchiamo di dare parole a questo conflitto”, scrive Jason Burke L’Osservatore. Ma proprio oggi, se ci mancano le parole, spiega lo specialista in questioni di sicurezza internazionale, che è stato per lungo tempo corrispondente di guerra, è quello “I conflitti attuali sono molto diversi. Non si manifestano su una scala di violenza prevedibile. Non si tratta né di guerre “totali” né di ciò che si potrebbe considerare il loro opposto, ma di un flusso incessante e dinamico di vari gradi di violenza. Non finiscono, si attenuano abbastanza a lungo da essere ignorati da tutti tranne che dalle loro vittime immediate.

Questa guerra e l’ondata di violenza che l’ha accompagnata hanno sconvolto la nozione stessa di tempo e spazio, afferma Jason Burke. “La gente di Gaza continua a dire che ha perso la cognizione dei giorni, delle settimane o dei mesi, e aspetta solo una cosa: che la guerra finisca. Anche le famiglie degli ostaggi detenuti da Hamas tengono un conto preciso dei giorni che i loro cari hanno già trascorso a Gaza”…

Il 12 ottobre 2023, nel primo numero che abbiamo dedicato agli attacchi di Hamas e all’avvio della risposta israeliana, titolavamo: “Lo stato di shock”. Un anno dopo, mentre chiudevamo questo numero, l’esercito israeliano ha annunciato poche ore fa un’incursione di terra in Libano dopo una settimana di intensi bombardamenti che hanno provocato la morte di centinaia di persone. La storia si sta ripetendo? Stiamo andando verso una guerra regionale?

L’onda d’urto del conflitto scatenatasi dopo il 7 ottobre ha ulteriormente ampliato il divario tra l’Occidente e i Paesi del Sud del mondo. Lo spieghiamo nel numero speciale che abbiamo pubblicato la settimana scorsa: Israele-Palestina, il divario globale. Leggi in aggiunta a questo numero.

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