Dopo un lungo viaggio attraverso il deserto, il Partito Liberale del Quebec ha fretta di rinascere nell’arena politica. Forse con troppa fretta. Riuniti in una conferenza a Lévis, i suoi attivisti e candidati alla leadership si sono scontrati davanti alle telecamere per prendere posizione su tutto e su niente.
A favore o contro una costituzione del Quebec. A favore o contro il terzo collegamento. “Rottamare” o “ammorbidire” la legge CAQ 96 sulla lingua francese. Ecc.
Ancora più surreale è stata la presenza del suo ex leader ed ex primo ministro Philippe Couillard. Veniva anche a predicare nel merito o meno di una costituzione o del terzo anello. Ora, come dirlo?
Quando un leader ha inflitto al suo partito la peggiore sconfitta della sua storia, come Couillard nel 2018, sarebbe meglio per i liberali se si limitasse alla pesca del salmone.
Se un giorno il PLQ volesse risorgere, un buon primo passo sarebbe trovare un leader che sia agli antipodi di Philippe Couillard.
Traduzione: nessuna austerità. Nessuna riforma sanitaria debilitante. Nessun antinazionalismo primario. Zero negazione del declino del francese. Un federalismo presunto, ma più esigente. Ecc.
Inoltre la corsa alla leadership non è ancora ufficialmente iniziata. Si capisce l’impazienza di un partito abituato al potere, ma il cui sostegno tra i francofoni languisce al 5%.
Il pericolo non è minore se si decide troppo presto quando l’obiettivo di una gara è proprio vedere i candidati presentare idee innovative.
Il Quebec sta andando abbastanza male perché se ne preoccupino in modo più concreto e credibile.
Spiedino maschio
Anche se la sua formazione è esclusivamente maschile – un imbarazzante anacronismo nel 2024 – al PLQ non mancheranno candidati.
In pole position, l’ex luogotenente del Quebec di Justin Trudeau, Pablo Rodriguez, raccoglie diversi consensi, mentre la stella dell’ex sindaco Denis Coderre tramonta visibilmente.
Marc Bélanger, Charles Milliard e Frédéric Beauchemin appartengono a un tipo di business più classico. Anche se presiedesse il Consiglio dei datori di lavoro, Karl Blackburn potrebbe comunque sorprendere.
Se una volta finita la convalescenza si candidasse alla guida, le sue lunghe radici nel PLQ e nelle regioni potrebbero avvantaggiarlo.
I cuori sensibili si astengono
Non dimenticare nemmeno che le gare per la leadership, tutti i partiti messi insieme, sono soprattutto sport estremi. Tra i candidati non è raro vedere scoppiare attacchi molto personali.
Alleanze nascoste e sporchi trucchi vengono orditi a porte chiuse e finiscono in tradimenti che nessuno dimentica.
Se l’obiettivo è trovare anche un leader capace di ricostruire un partito, la lotta è ancora più accanita. Il PLQ non farà eccezione.
E che dire dell’inevitabile competizione per la vendita delle tessere associative? Ben al di là delle “idee” presentate, chi vende di più dice molto solo sulle doti organizzative dei candidati.
Quante volte il PQ si è trovato con leader inadatti a guidarlo, capaci solo di “organizzare” la propria vittoria di leadership?
Insomma, un modesto consiglio ai liberali: lasciate i suoceri allo chalet e i vostri candidati liberi di stupirvi. Se possono, lo faranno.