ad ogni trasmissione l’aula trattiene il fiato, il racconto di un processo al limite della nausea

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Dovresti vivere sulla Luna per non aver sentito parlare dello stupro di Mazan. La sorprendente storia di Dominique Pelicot, padre di famiglia, nonno, che per dieci anni ha drogato la moglie Gisèle a sua insaputa per offrire il suo corpo a sconosciuti contattati via Internet. Il marito e altri 50 coimputati sono sotto processo dal 2 settembre davanti al tribunale penale di Vaucluse. Un processo lungo e articolato, la cui portata si può misurare in poche cifre: le udienze durano quattro mesi, coinvolgono una quarantina di avvocati, comprendono cinque parti civili e sono seguite da 36 media accreditati, da “La Provence” al brasiliano premere. Un ultimo dato: la procedura rappresenta 31 volumi…

Ma la portata del caso va ben oltre le cifre di questa maratona legale. Questo processo è storico nel suo simbolismo: sette anni dopo #MeToo, gli imputati ancora inciampano sui concetti di consenso, stupro, stupro coniugale, relazione uomo/donna, sessualità. Un intero sistema viene convocato in udienza.

Sette anni dopo #MeToo, gli accusati inciampano ancora sul concetto di consenso

Bisognerebbe vivere anche sulla Luna per non aver seguito in tutto o in parte i dibattiti attraverso i media e i social network. Attraverso immagini su uno schermo, o parole scritte su carta. Complemento soggetto-verbo. Ma viverlo è ancora un’altra cosa. Molte persone fanno questo passo, tra la storia e il sentimento. Tante donne, di tutte le età, ognuna con la propria storia e il motivo per essere lì, dalle 7 del mattino, davanti al tribunale di Avignone, in fila per sperare in un posto nella sala del processo, proprio accanto alla sala Voltaire dove si svolgevano i dibattiti. si tengono.


Gisèle Pelicot sta dietro ai suoi due avvocati parigini, davanti alle parti civili.

BENOIT PEYRUCQ / AFP

Devi arrivare presto perché i posti sono limitati. «Spegnete i cellulari, se dovete andare in bagno è adesso, tutti quelli che escono dalla stanza perderanno il posto», avvertono. Militare.

“Siamo tutti Gisèle”

Qui non ti resta che seguire il pubblico su uno schermo rettangolare. L’angolo di campo non va oltre il tribunale: nell’inquadratura non ci sono né le parti civili né i palchi dei due imputati. Ma non c’è bisogno di vedere gli occhi della vittima per coglierne l’orrore, per immaginare il suo turbamento interiore. E poi, Gisèle, tutti l’aspettano, ogni volta che entra e esce dal pubblico. Osservano camminare questa donna, così piccola, così fragile e così forte, dignitosa ed elegante, solare, avvolta in un mantello di feltro di cammello. Ad ogni entrata e uscita, picchetto d’onore, applausi, lacrime intorno. «Siamo tutte Gisèle», dicono Laurène e Lucile, due sorelle di 29 anni venute da Nevers per «darle la forza».

Non c’è bisogno di vedere gli occhi della vittima per coglierne l’orrore, per immaginare il suo tumulto interiore.

Gisèle Pelicot non esita a venire a incontrare queste donne, a tenerle una mano, asciugare una lacrima, condividere, faccia a faccia. In questi minuti furtivi si intreccia un’energia silenziosa di rara intensità. Da donna a donna.

Ambiance pesante

Ben diversa è l’atmosfera, nell’aula stessa, riservata ad avvocati, testimoni, stakeholders, giornalisti e vignettisti. Un’atmosfera pesante, pesante, seria.

A sinistra, i palchi degli imputati. Esattamente di fronte, le parti civili, con, dietro la siepe protettiva dei suoi due avvocati parigini, Gisèle Pelicot. Al centro, il cortile, e ai lati, tre schermi, per trasmettere gli scambi video con alcuni esperti, e i filmati dei rapporti sessuali che Dominique Pelicot conservava sul suo computer in un file chiamato “Abuse”. Ad ogni trasmissione la sala trattiene il fiato. La parte civile ha insistito per revocare la seduta a porte chiuse, “così che la vergogna cambi finalmente lato”.

“Immagini che attentano alla dignità umana”

Ciò non avviene senza precauzione. Ad ogni richiesta di visione, tutte le parti vengono consultate, danno il loro parere, decide il presidente della Corte, Roger Arata, non senza ricordare che accede solo “se le immagini sono necessarie” alla manifestazione della verità”. Infatti, di fronte alle smentite di alcuni imputati e alle sfide alla definizione di stupro, spesso se ne sente la necessità. “Vorrei sottolineare che queste immagini sono un attentato alla dignità umana”, avverte, invitando “le persone fragili e i minori” a lasciare la sala.


Al processo la parte civile ha insistito per revocare l’udienza a porte chiuse, «così che la vergogna cambi lato».

GEOFFROY VAN DER HASSELT/AFP

In questi istanti, che esplodono sullo schermo, Dominique Pelicot si tappa le orecchie, si guarda i piedi. Gisèle, dal canto suo, punta lo sguardo lontano, nello spazio, o sui suoi avvocati. Il suo volto resta impassibile. Appena sopra, il film è difficile da sostenere. Alcuni giornalisti distolgono lo sguardo. Il silenzio è totale. Mischiati sono il disagio, la nausea, il mal di pancia, il dolore della donna…

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