Ancora una volta fuggono. In canoa, moto, auto, camion, a piedi, gli abitanti della regione colombiana del Catatumbo cercano di sfuggire a minacce e proiettili. In questa parte nordorientale della Colombia, al confine con il Venezuela, i guerriglieri dell’Ejercito de Liberacion Nacional (Esercito di Liberazione Nazionale, ELN) lanciano da giovedì 16 gennaio un’offensiva mortale per eliminare il loro rivale locale, un gruppo scissionista della ex gruppo guerrigliero Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Forze armate rivoluzionarie della Colombia, FARC).
Secondo le autorità, in cinque giorni sono state uccise più di 100 persone, soprattutto civili. E più di 11.000 altri scelsero di partire, in preda al panico e senza bagagli, per trovare rifugio nelle vicine città di Tibu, Ocaña e Cucuta, o addirittura in Venezuela.
“Stiamo affrontando una delle crisi umanitarie più grandi e gravi che il Catatumbo abbia mai conosciuto, se non la più grande”, ha dichiarato lunedì 20 gennaio Iris Marin Ortiz, responsabile della Defensoria del Pueblo (l’istituzione preposta a garantire il rispetto dei diritti umani), precisando che il numero delle persone fuggite potrebbe essere “molto più alto”. Lunedì mattina gli sfollati hanno continuato ad arrivare nei precari punti di accoglienza allestiti su entrambi i lati del confine.
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